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Perchè nessuno parla di abilismo?

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L’opinione pubblica non fa altro che parlare di terrorismo, razzismo, sessismo e specismo, classismo ma non si occupa quasi mai di abilismo. Questo termine deriva dall’inglese “ableism o disableim” e racchiude tutti gli episodi di discriminazione verso le persone con disabilità: pratiche ed atteggiamenti che limitano e sottovalutano il loro potenziale. L’utilizzo di questo termine ha iniziato a diffondersi alla fine degli anni ’80 principalmente nel territorio angloamericano in riferimento all’abilità fisica o mentale come norma e unica condizione accettata.

Un problema molto sentito dagli attivisti con disabilità è che la disabilità è stata sempre vista come una mera condizione medica. Una condizione sfortunata e tragica, senza tante possibilità, da compatire, da curare o possibilmente eliminare. Questa visione risale principalmente all’epoca dei freak show (intrattenimenti morbosi rivolti alle persone con disabilità). Faticosamente la visione della disabilità si è evoluta. Un momento cruciale di questa evoluzione è stata la stesura del modello Sociale della Disabilità teorizzata da Mike Oliver nel 1983. Tale modello definisce la disabilità come una condizione socio-politica marginizzata che possiede una propria cultura e affronta anche le forme discriminazioni subite dalla disabilità. Purtroppo ancora possiamo trovare tracce della visione di disabilità anteriore al Modello. Non sono più presenti i freak show ma ora troviamo l’ispiration porn (pornografia motivazionale): articoli di giornali, post su Facebook o storie strappalacrime in cui le persone con disabilità o gravemente malate vengono ridotte a esempi motivazione per le persone senza disabilità.

Come tutte le discriminazioni strutturali l’abilismo si sviluppa su più livelli. Possiamo immaginarlo su una piramide alla cui base troviamo i fenomeni di entità di minore dettati ignoranza, paternalismo, incapacità di oltre i stereopiti di cui la nostra cultura è ampiamente condizionata, al vertice di questa piramide troviamo il genocidio.
Al gradino più della piramide troviamo la discriminazione: ovvero considerare la disabilità una tragedia: pensare che la disabilità sia un difetto della persona e non un aspetto di diversità umana; vedere la vita di una persona con disabilità una sofferenza e utilizzare termini come “ritardato”, “handicappato” o “sei un down” per rivolgersi ad una persona con disabilità.

All’interno delle discriminazioni rientra anche la difficoltà di trovare servizi igienici accessibili all’interno di qualsiasi luogo, sia pubblico che privato. Spesso per le donne con disabilità è più difficile accedere ai servizi di ginecologia e ostetrica, in senso più ampio ai laboratori medici e alle attrezzature mediche. Fa sempre parte dell’abilismo considerare una persona con disabilità coraggiosa quando compie semplici azioni quotidiane, come andare all’università o andare a far la spesa in autonomia. Un altro atteggiamento che fa parte di questo concetto è considerare le persone con disabilità eternamente bambine, rivolgendosi loro non prendendo in considerazione l’età, usando un tono di voce e un linguaggio inappropriati.

Certe volte succede che persone sconosciute, fermino persone con disabilità per chiedere informazioni personali violando la loro sfera personale ed anche in questo caso si parla di “abilismo”. Con questo articolo spero di aver aperto un piccolo spiraglio su un argomento tanto diffuso, ma poco conosciuto. Inoltre, spero che le persone inizino lentamente a cambiare i loro atteggiamenti nei confronti delle persone con disabilità, le quali, per quanto possibile, dovrebbero dare il loro contributo per migliorare la visione della disabilità in Italia, in Europa e in generale in tutto il mondo.

Paola Negosanti