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Capire cos’è la critica d’arte

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Paolo Battaglia, La Terra Borgese, intervistato da Emanuela Petroni. Ecco i contenuti integrali dell’intervista al critico.

Paolo Battaglia La Terra Borgese è senz’altro un nome tra quelli dei critici d’arte più autorevoli d’Italia: ci racconta quando un critico d’arte è chiamato ad esprimersi e da chi?

«A rivolgersi allo studio del critico d’arte sono principalmente pittori e scultori, ma anche enti pubblici, musei, fondazioni, quotidiani, gallerie, pinacoteche e così via. Gli artisti, in particolare, ricorrono a questa figura per focalizzare, attraverso il suo studio, le aree dove eccellono e per riconoscere quelle della loro arte che sono migliorabili. Loro si rivolgono alla critica d’arte per rassicurare i propri collezionisti, per fidelizzarli, e soprattutto per trovarne di nuovi. È un modo per dire “io ci sono” “si parla di me” “si studiano le mie opere”.
Il compito del critico d’arte è leggere opere d’arte, così come quello di un curatore è quello di creare un percorso espositivo, cioè di mettere un certo numero di opere in mostra, e così come tra i compiti di un perito c’è quello della stima. Le tre figure possono pure coincidere, in tutto o in parte, ma è giusto distinguerne le competenze».

Dunque una critica d’arte spiega l’opera e si esprime del suo autore?

«Assolutamente sì!».

Così gli scritti sui tanti artisti, come quelle che si ritrovano sulle brochure di questa o quella mostra, che spesso capita di leggere con varie considerazioni, recensioni sull’autore e le sue opere in questione, sono critiche d’arte?

«Un’opera d’arte si legge anzitutto facendosi carico delle risposte a sei semplici domande: Chi, Cosa, Come, Dove, Perché e Quando. Ad ognuno di questi quesiti deve darsi uno studio concreto e soprattutto preciso».

Vuol dire che se non è così non può definirsi critica d’arte?

«La critica d’arte si costituisce da precise e necessarie letture utili ad essere sistemate in un impianto di elaborazione più complesso. Apparati che non rispondono a questa logica nulla hanno a che fare con la critica d’arte, assumono piuttosto le sembianze di raccontini che vanno bene per qualsiasi opera o artista, un po’ come quegli oroscopi che, programmati a computer, si ritrovano ogni giorno su tutti i quotidiani».

Può spiegare nel dettaglio ai nostri ascoltatori qual è l’impianto di una critica d’arte?

«L’impianto per lo studio di una critica d’arte è rigorosamente composto, e si realizza, dalle prospettive di lavoro che abbiamo detto prima, e serve ad individuare innanzitutto l’autore dell’ opera attraverso l’esame attento della sua biografia, così da definirne le vicende umane e le questioni personali che hanno influenzato la produzione dell’opera in esame. Si considera poi se l’opera risente dell’appartenenza ad una scuola, o dai rapporti dell’artista con un suo mentore o con altri artisti o, ancora, dell’epoca in cui è stata creata.
Incombe poi l’obbligo di circoscrivere con esattezza la nozione dell’opera oggetto dell’indagine. Si deve cioè definirne il genere e la poetica e relazionarli alla nazionalità dell’artista o il luogo dove è stata prodotta l’opera. Gli altri elementi sono la data di realizzazione, le dimensioni, la tecnica, il supporto e l’iconografia.
A questo punto interviene una classificazione che stabilisce se l’opera si pronuncia in funzione di uno stile o di una corrente e se s’inquadra in un periodo o in una epoca. Lo studio continua con una comparazione degli aspetti iconologici e analizzando quelli poetici. Solo ora si guarda alla composizione per stabilirne il linguaggio in funzione del colore, della linea e delle geometrie.
L’azione volge quindi adesso a studiare il perché, da quali logiche culturali e sociali sia partita l’ispirazione dell’artista, sia pure che l’opera rappresenti la risposta al desiderio di una committenza».

Ho capito: lei ha dato risposta alle sei domande. Dunque si completa così una critica d’arte?

«Le realizzazioni finora ottenute costituiscono il fondamento per la fase conclusiva, e cioè le letture passo passo della scena che occorrono a ultimare l’esame critico. Adesso la critica si dice conclusa!».

Emanuela Petroni