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“Se mi mandi in tribuna godo”. Ezio Vendrame: una vita in fuorigioco contro il calcio moderno

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«Il calcio di oggi non esiste, è finto, è acrilico. Al mondo ci sono stati tre giocatori di calcio: Maradona, Zigoni e Meroni. In questo rigoroso ordine, non alfabetico. Il resto è noia»

(Ezio Vendrame – “Se mi mandi in tribuna godo”)

Stagione 1976-77, Ezio Vendrame gioca nel Padova, in serie C. A due giornate dalla fine, i biancoscudati incontrano la Cremonese in casa. Ai lombardi basta un punto per ottenere la promozione in serie B, mentre ai veneti di quella gara poco importa. Prima del calcio d’inizio le due squadre si accordarono per il pareggio. Tutta la partita diventa “una gigantesca melina, una pazzesca rottura di balle”. La gente sugli spalti sbadiglia, ed Ezio, spinto da un sentimento di vergogna, sta per inventarne una delle sue. A un certo punto conquista il pallone al limite dell’area avversaria e punta la sua porta. Scarta gli avversari e i compagni increduli fino a presentarsi davanti al suo portiere: finge di calciare e sulle tribune qualcuno collassa. Per davvero. Dirà a fine gara “E che cazzo, bisognava regalare un’emozione, vivacizzare il pomeriggio”, mentre del signore malato di cuore stroncato da un infarto in tribuna dirà più avanti, ironico “Non puoi venire a vedere la partita dove gioco io se sei malato di cuore”.

Credo che nella geografia calcistica di una persona comune con la passione per il calcio siano passati parecchi personaggi di questo gioco, gli stessi che hanno contribuito, a suon di goals e di giocate, a rimanere intatti nella memoria storica di ognuno di noi. Ma sull’olimpo, sul Monte Everest di questa geografia morfologicamente variegata, ci stanno tre o, al massimo, quattro giocatori. Escludendo Diego Armando Maradona – che il Monte Everest lo scala da solo a piedi senza chiedere il permesso a nessuno – l’empireo del football potrebbe colmarsi di tanti giocatori diversi con caratteristiche assai differenti. Certo, l’età anagrafica limita fortemente la scelta e, per ragioni di causa maggiore, chi è nato negli anni ’90 come me difficilmente potrà inserire nel novero dei calciatori indimenticabili giocatori degli anni ’50 come Juan Alberto Schiaffino o Gunnar Nordahl. Tuttavia, penso che anche in questo caso vi siano delle eccezioni. Ma come avviene questa selezione? Non si tratta di stabilire “i più forti”, ma quelli che hanno saputo regalare emozioni, a volte semplicemente con un tocco di palla, una finta di corpo, un modo di intendere il giuoco del calcio e la vita in maniera diversa. È una scelta intima, interiore, l’antitesi del Pallone d’Oro insomma. Nel mio olimpo personale ci sono tre giocatori, in primi due appartenuti alla mia “epoca”, l’altro agli anni ‘70. Si tratta di Juan Roman Riquelme, Manuel Cesar Rui Costa e, in ultimo, Ezio Vendrame. Esatto, proprio lui. Confesso, non l’ho mai visto giocare – naturalmente – ma ho letto tanto ed è stato come averlo visto passare davanti ai miei occhi più di una volta: barba incolta e capelli lunghi, stile perfetto e prestazioni incostanti, poeta dentro e fuori dal campo, emblema di un calcio che non esiste più e che forse è esistito solo nella mente e nel cuore di pochi.

Ezio Vendrame nasce a Casarsa della Delizia, in provincia di Pordenone, il 21 novembre del 1947. All’età di sette anni si ritrova in un orfanotrofio gestito da un prete nonostante avesse entrambi i genitori viventi. Un’esperienza che lo segnerà per tutta la vita e che ricorderà come un inferno, con gli assistenti che portavano a spasso gli orfanelli al guinzaglio come se fossero cani. Dentro quelle mura si scopre ateo e amante del pallone, e ben presto approda nelle giovanili dell’Udinese, guadagnandosi le 40.000 lire d’ingaggio al mese che arrotonda vendendo pentole porta a porta e pulendo gli spalti dello stadio. Dopo 4 anni a Udine approda alla Spal in Serie A firmando il primo contratto professionistico. Vendrame incomincia a scoprire così, a 19 anni, gli arcani meccanismi che si celano dietro la Serie A, dove come premi partita in caso di successi in campionato vengono offerte ragazze per prestazioni sessuali. “Ho avuto parecchie donne nella mia vita, ma le ho amate una per una. Non ho mai fatto l’amore senza sentimento”. Innamoratosi di una di queste, si finge malato pur di disertare allenamenti e partite e vedere la sua amata Roberta. Scoperta la tresca, il presidente Mazza lo spedisce in prestito al Sassari in serie C, ma fuggirà anche dalla Sardegna per finire al Siena allenato da Volturno Diotallevi, un mastino che dopo giornate massacranti di allenamenti in ritiro costringeva i giocatori a tenere aperte le proprie stanze d’albergo per ammirare le sue performance in mutande su e giù per le scale. Correva l’inverno 1969, con l’Italia tramortita dal freddo e dalla strage di Piazza Fontana, e Vendrame si compra un cappotto da 70.000 lire per poi regalarlo ad uno zingaro – “Aveva più freddo di me” – dirà poi.

Dopo una stagione al Rovereto in Serie C, Vendrame approda al Lanerossi Vicenza, dove oltre all’esordio in Serie A, trova una seconda casa nella trattoria di Luigino De Gobbi ad Olmo di Creazzo, luogo di scherzi e di sollazzi, cene a base di bigoli al torcio e baccalà, serenate e poesie. Sempre a Vicenza, epico è il discorso fatto ad un gruppo di tifosi con la presenza interdetta del presidente Giussi Farina: “Innanzi tutto vi ringrazio per tutto l’affetto che mi dimostrate, ma mi sembrate un po’ fuori di testa: io so soltanto tirare calci ad un pallone! Chissà quante cose voi sapete fare meglio di me. Non sono un chirurgo che salva vite umane e nemmeno un operaio che per arrivare alla fine del mese si deve fare un culo grande così! Io sono un fortunato ed è per questo che non vi capisco. Che cosa saranno mai queste partite di calcio! Inventatevi delle alternative domenicali. Andate a vedervi un bel film, leggetevi un libro, oppure restate a casa e fatevi una bella scopata! Cazzo! Non possiamo vivere di solo calcio!”

Sempre a Vicenza, Ezio inizia a scoprire il gusto amaro di un calcio già malato. Roma-Vicenza, stagione 1972/73: «Dovevamo salvarci, ci serviva un punto. Tre ore prima della gara il medico ci somministrò una particola. Ce la mise in bocca come se fosse stato un sacerdote alle prese con le ostie. Al riscaldamento eravamo imbambolati, in campo avevamo sonno. Per fortuna la Roma sembrava nelle stesse condizioni e la partita finì 0-0. La sera rientrammo in albergo e a una certa ora della notte ci ritrovammo tutti a correre nei corridoi. Avevo la bava alla bocca e una strana agitazione dentro. La “bomba” a scoppio ritardato».

Sul personaggio Vendrame è interessante aprire una parentesi sulla sua amicizia col cantautore livornese Piero Ciampi. Anarchico, indecente e alcolizzato: Piero Ciampi è stato un cantautore meraviglioso, una penna finissima, una voce malinconica purtroppo dimenticata dal mondo della musica, ora come allora. Dichiara Vendrame “A Piero devo tutto. Quello che so l’ho imparato da lui. La sua morte mi sconvolse”. È infatti memorabile il gesto compiuto da Vendrame durante una partita, il quale dopo aver visto sugli spalti l’amico Piero Ciampi, interruppe il gioco per salutarlo. In comune i due avevano molto: non solo uno spiccato anticonformismo, un’inclinazione all’autodistruzione, una melanconica poesia nelle vene, ma anche la passione per la scrittura che Vendrame iniziò ad intraprendere con sempre più convinzione dopo aver appeso le scarpe al chiodo all’inizio degli anni ’80. Tra i suoi libri ricordiamo non solo i più conosciuti “Se mi mandi in tribuna godo” e “Una vita in fuorigioco”, ma anche “Io di nascosto”, “Il mio cuore stuprato”, “Calci al vento” e il nuovo “Capolavoro dell’inutile”. Oltre all’attività di scrittore, oggi allena i Giovanissimi della Sanvitese, club del Comune friulano San Vito al Tagliamento. È un bravo istruttore, vince i campionati, sa insegnare il gioco del calcio, «Ma certi genitori mi detestano, sogno di allenare una squadra di orfani». La ricca e benpensante provincia del Nordest non sopporta che i propri figli amino un “beat”, un reperto archeologico del Sessantotto, tanto che un papà facoltoso ha pensato di offrire un assegno in bianco al presidente della Sanvitese: “metti tu la cifra, basta che licenzi quel matto”. Proposta respinta, Vendrame resta e insegna «Cari ragazzi, buttate nel cesso le vostre playstation e rinchiudetevi nei bagni con un giornaletto giusto in bella vista. Quando uscite, innamoratevi di una bella figliola: il sesso fai da te è bello, ma quello con una coetanea è meglio».

Ma Ezio Vendrame è questo e molto altro: è quello che dopo un tunnel a Gianni Rivera chiede scusa, quello che all’ultimo minuto di una gara del torneo ango-italiano bacia il suo diretto marcatore appassionatamente dopo averlo ubriacato di finte per novanta minuti, è quello che fa gol da calcio d’angolo e si soffia il naso sulla bandierina, è quello che a 39 anni suonati scende in campo in Promozione con lo Juniors Casarsa e batte i corner di “rabona”, è l’hippie che rifiuta la proposta di Helenio Herrera di raggiungere Los Angeles e giocare con George Best, è l’emblema dell’anti-juventinità “per me vincere era un incidente di percorso, per loro una condanna”, è il coach che dai ragazzini non si fa chiamare “mister” ma semplicemente “Ezio”, è un gran suonatore di armonica a bocca, era pazzo, per Nereo Rocco, per Boniperti era come Kempes, per altri era Sivori, per Sacchi era da Nazionale se avesse avuto un’altra testa ed invece è solo Ezio Vendrame, che nella mia geografia calcistica resterà per sempre l’emblema di un calcio che non ho mai visto ma ho sempre sognato.

Lorenzo Ghetti