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Perché è importante votare SI al referendum: lettera aperta a Michela Costa

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Ultimo aggiornamento:

Gent. Michela Costa,
grazie per il suo post<https://www.facebook.com/notes/michela-costa/referendum-trivelle-ecco-perch%C3%A9-io-non-andr%C3%B2-a-votare/952121794825429>. In questi giorni mi è capitato di discutere con molte persone e trovo chiaro e utile il suo documento, utile a mettere in chiaro una posizione diversa dalla mia, ma legittima e razionale, alla quale posso “rispondere” con gli stessi toni.
Neppure io sono un ambientalista, sono un docente dell’Università di Bologna e durante una piccola esperienza amministrativa – sono stato assessore all’ambiente di un Comune dell’Emilia-Romagna – mi sono spesso scontrato con associazioni ambientaliste o vari portatori di interesse, e altre volte ho sostenuto le loro posizioni, perché sono abituato anche io all’indipendenza e alla causalità delle opinioni.

Non è vero – come lei scrive – che vi sono motivazioni occupazionali che porterebbero alla perdita di circa settemila posti di lavoro, in caso di successo dei SI.
Non mi risulta neppure che diversi sindacati si sono schierati a favore del NO.
La realtà è purtroppo più cupa, il settore oil&gas è in crisi strutturale per motivi macroeconomici, e l’occupazione è a rischio, non per gli effetti del referendum, che anzi viene utilizzato come alibi. Le cause strutturali sono molteplici:

  *   i margini di profitto legati ai combustibili fossili sono inferiori alle esternalità, ovvero ai costi sanitari e ambientali derivanti dal loro uso. Questo è confermato dal Fondo Monetario Internazionale (non dal WWF), che invita i Governi ad adottare politiche fiscali per ridurre l’uso dei combustibili fossili attraverso la leva economica, vedere qui<http://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.imf.org%2Fexternal%2Fpubs%2Fft%2Fsurvey%2Fso%2F2014%2FPOL073114A.htm&h=JAQGvcsTT&s=1>.

  *   Come può mantenersi un settore industriale, principalmente di natura privatistica, se i profitti sono inferiori ai costi? Il settore si sostiene attraverso ingenti contributi pubblici. Sempre il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che ogni anno vi siano 5.300 miliardi di dollari di contributi diretti e indiretti (esternalità) ai combustibili fossili, una cifra pari al 6,5 % del PIL mondiale, vedere qui<http://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.qualenergia.it%2Farticoli%2F20150519-nuova-stima-fondo-monetario-internazionale-alle-fossili-aiuti-pubblici-per-5300-miliardi-dollari-anno&h=lAQHJiN-4&s=1>.

  *   La concorrenza delle rinnovabili, caratterizzate da esternalità trascurabili, e, spesso, da costi fissi inferiori, ha portato a una crisi strutturale del settore oil&gas, crisi i cui effetti sono evidenti già oggi, non in futuro immaginario (vedere qui<http://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.qualenergia.it%2Farticoli%2F20160114-stati-uniti-occupati-fotovoltaico-superano-oil-and-gas-renewable-portfolio-standard&h=VAQHDiTSC&s=1>).

In estrema sintesi, l’industria dei combustibili fossili è in profonda crisi e le prospettive sono peggiori; il referendum è una grande opportunità che il paese e i suoi governanti dovrebbero cogliere per progettare una transizione energetica coerente con gli accordi di Parigi e che avrebbe conseguenze molto positive sulla nostra economia.
Sostenere il SI al referendum significa chiedere la modifica degli indirizzi strategici della politica industriale del paese. Il principale risultato atteso è la conversione delle aziende del settore oil&gas verso le nuove tecnologie. Risultato che si potrà raggiungere attraverso un’adeguata transizione, non attraverso azioni immediate che nessuno chiede, diversamente da come lei le raffigura.

Al contrario, ostinarsi a sostenere anche con denaro pubblico un settore destinato a scomparire significa garantire sicuri problemi occupazionali e sociali alle professionalità create e formate.
Qui<http://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.qualenergia.it%2Farticoli%2F20160315-trivelle-il-referendum-del-17-aprile-spiegato-bene&h=UAQEMyfnN&s=1> trova una sintesi di queste e altre considerazioni socio-economiche.
Di seguito provo a formulare una risposta a ciascuno dei punti da lei evidenziati.

1) Lasciamo stare gli aspetti emotivi. Il metano è il principale responsabile delle emissioni climalteranti.
Nel Regno Unito – e in molti altri paesi in modo analogo – si sta svolgendo la campagna “Keep it in the ground” (letteralmente lasciali nel sottosuolo, vedere qui<https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DM9MayBUgSHI&h=IAQH_dYYU&s=1>), perché lo spazio nella casa comune Terra è quasi esaurito: vi è posto solo per le emissioni che corrispondono a un quinto dei combustibili fossili nel sottosuolo. Se ne estraiamo più di un quinto, l’aumento di temperatura supererà i 2 °C, la soglia che unanimemente è stata riconosciuta come un limite invalicabile nella conferenza di Parigi. Ecco, perché NON è giusto estrarre gas ed è invece giusto investire sul risparmio energetico e sulle energie rinnovabili.

2) I consumi di energia primaria in Italia e in Europa si stanno riducendo, fonte British Petroleum (BP) vedere qui<http://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.bp.com%2Fcontent%2Fdam%2Fbp%2Fpdf%2Fenergy-economics%2Fstatistical-review-2015%2Fbp-statistical-review-of-world-energy-2015-full-report.pdf&h=XAQEQyxap&s=1>.
Dal 2006 al 2014 l’Italia ha ridotto di quasi il 20% i propri consumi globali (elettrici, termici, combustibili). Riducendo i consumi, e aumentando la quota di produzione di energia rinnovabile, che nello stesso periodo in Italia è passata dal 2 al 10%, è naturale ridurre l’estrazione, non le pare?

3) Anche senza considerare incidenti – che possono avvenire con o senza piattaforme, ma che sono più probabili nel primo caso – senza piattaforme si riducono i rischi ambientali diretti: sedimenti inquinanti e i conseguenti effetti sull’ecosistema marino, subsidenza, erosione delle coste.

4) Condivido l’idea di realizzare una transizione energetica. Oggi le rinnovabili coprono il 10% dei consumi primari, alcuni ricercatori hanno sviluppato modelli sociali, economici per arrivare fino al 100% entro il 2050, sulla base delle tecnologie già esistenti (vedere qui<https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fweb.stanford.edu%2Fgroup%2Fefmh%2Fjacobson%2FArticles%2FI%2FUSStatesWWS.pdf&h=AAQFhNaKB&s=1>).
La transizione si realizza riducendo i consumi e in particolare la quota di combustibili fossili, quindi riducendo le piattaforme di estrazione.

5) Concordo su questo punto. Il referendum non è lo strumento più adatto per modificare le strategie energetiche, perché per sua natura è uno strumento abrogativo e non propositivo. Deve però prendere atto che nel nostro paese questo strumento è, purtroppo, da sempre lo strumento per portare innovazione e cambio di strategie. Faccio parte di un gruppo di ricercatori multi-disciplinare, proveniente da Università ed Enti di Ricerca, CNR, INGV, ARPA, di Bologna. Abbiamo scritto nel 2014 al Governo per proporre una strategia energetica integrata e pianificare la transizione, vedere qui<http://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.energiaperlitalia.it%2F&h=3AQFFmNcp&s=1> e qui<http://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fespresso.repubblica.it%2Fattualita%2F2014%2F10%2F17%2Fnews%2Fenergia-grandi-esperti-contro-sblocca-italia-investire-sulle-rinnovabili-non-sul-petrolio-1.184534&h=JAQGvcsTT&s=1>. Non abbiamo ricevuto neppure una risposta di cortesia.
Non mi stupisce che le Regioni abbiamo intrapreso la strada del referendum. Solo un’azione popolare può portare al necessario cambiamento di visione.

6) Il problema a mio parere è la scarsissima sensibilità ambientale. Una scarsa sensibilità che anche il World Economic Forum nel settore Travel&Tourism ci rinfaccia. Negli indici “sostenibilità ambientale” e “applicazione delle norme ambientali” viaggiamo sempre nelle parti basse delle classifiche mondiali.
Guardare le cose da lontano aiuta. Visti dall’estero, siamo un paese che “disprezza il suo tesoro” (vedere qui<http://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.corriere.it%2Feditoriali%2F14_dicembre_10%2Ftesoro-che-l-italia-disprezza-faf4afe8-8034-11e4-bf7c-95a1b87351f5.shtml&h=QAQFFW1Xt&s=1>), ovvero che dimentica che la priorità è sostenere un settore che con l’indotto occupa 2.619.000 milioni di persone (un milione di più degli addetti di tutta l’industria metalmeccanica), dati 2013.
È sicura che sia corretto assumersi anche solo una piccola frazione di rischio legata alle piattaforme?

7) Quello della sismicità indotta è un tema complesso e concordo con lei, non si possono trarre conclusioni.
Si può e si deve, invece, riconoscere che la subsidenza antropica è realtà, ovvero che l’estrazione di idrocarburi dal sottosuolo produce abbassamento del terreno e quindi erosione delle coste. I dati sulle coste dell’Emilia-Romagna, Lido di Dante, in particolare, sono emblematici, vedere qui<https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DjP4W07NJ5yU&h=dAQHdcpGg&s=1>.

8) Vedere punto 2), i consumi si sono già ridotti e dovranno ridursi ulteriormente per rispettare gli impegni della COP21 e realizzare la transizione energetica. Ridurre la produzione è una naturale conseguenza. Anzi, un eccesso di produzione porta a tensioni economiche e finanziarie.

Io vivo il mio tempo, utilizzo un’automobile alimentata a gas metano, treno e mezzi pubblici, e cerco di praticare e insegnare ai miei figli parsimonia e rispetto delle risorse naturali, come lei, immagino. Credo che la transizione sia possibile se tutti insieme percorriamo un percorso. Le azioni singole sono importanti, ma non risolutive.
Credo anche che la sua analisi sia validissima, ma priva di una dimensione: la dimensione del futuro. Immagino che non abbia visto questo recente rapporto, della NASA, che mostra che a febbraio 2016 la temperatura è aumentata di 1,35 C rispetto ai valori medi nel periodo 1951-1980, vedere qui<https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.theguardian.com%2Fscience%2F2016%2Fmar%2F14%2Ffebruary-breaks-global-temperature-records-by-shocking-amount&h=zAQHrPhZc&s=1> . Un risultato che ha prodotto “shock” nella comunità scientifica e nella stampa internazionale. La stampa nazionale non riporta questi dati, di conseguenza non è colpa sua se la sua analisi non considera che siamo ormai in una stanza in cui abbiamo occupato quattro quinti degli spazi disponibili per emissioni e scarti. Da qui in avanti occorre grande responsabilità e attenzione, non solo per le generazioni future, ma anche per i più giovani.
[cid:7F7A2AC5-FFC7-4E56-BA7B-574E1635B7A5@homenet.telecomitalia.it]
Aumento di temperatura rispetto alle medie del periodo 1951-1980
In conclusione, mi auguro sia chiaro che non c’è ideologia, emotività o strumentalità nel votare SI al referendum, vi è un’idea di futuro, di strategie industriali a lungo termine, un’idea che va rispettata, come la sua, promuovendo la partecipazione al voto referendario.

Alberto Bellini