L’Associazione Dino Amadori richiama l’attenzione sulla necessità di rilanciare la cultura dello screening e della prevenzione. «Sono di questi giorni i dati sulla scarsissima partecipazione delle donne forlivesi allo screening per la prevenzione del tumore alla mammella: elemento che ci ha suscitato preoccupazione e spunto riflessione. Un problema che affonda le sue radici in un progressivo indebolimento di quella cultura della prevenzione che, fino a pochi anni fa, faceva di Forlì e della Romagna un modello riconosciuto a livello nazionale. Basterebbe rileggere i numeri e i dati consolidati sino a quando il professore Dino Amadori è stato pioniere di questo settore fondamentale per la lotta contro il cancro: per capire quanto la nostra città fosse un’eccellenza in questo campo» si legge in una nota dell’Associazione Dino Amadori.
«Con il professore Amadori, Forlì rappresentava un punto di riferimento “da imitare, non da evitare”. Oggi, purtroppo, il disinteresse dei nostri concittadini sulla partecipazione agli screening è diventata un problema endemico che non può più essere ignorato né sottovalutato. Invitiamo tutte le parti di tutti i settori e contesti sociali e sanitari a un confronto serio e costruttivo tra istituzioni, enti pubblici, scuole e realtà del terzo settore per unire le forze e collaborare per rilanciare l’importanza di sensibilizzare sulla prevenzione, quale punto di partenza per la lotta contro il cancro. Ci sono tante, forse troppe cose da rivedere ma non serve tornare troppo indietro per ritrovare la strada giusta: basterebbe ripartire dalla visione del professore Amadori, padre dello screening e del Registro Tumori della Romagna, e dal suo metodo basato su ricerca, rete e sensibilizzazione costante, sempre facendo rete. La prevenzione non è un gesto di immagine, ma un atto d’amore e di responsabilità verso sé stessi e verso gli altri. Non possiamo accettare che la sensibilizzazione resti a carico solo delle associazioni o delle realtà del volontariato: la prevenzione si nutre di valori autentici, di affetto verso i pazienti e, prima ancora, verso tutti noi» conclude l’Associazione.