Pare certo che domenica 26 ottobre a Predappio, nell’ambito di un contesto esclusivamente commemorativo, riconosciuto legittimo da una recente sentenza a sezioni unite della Corte di Cassazione, tornerà nel pieno rispetto della legge l’esibizione di ritualità gestuale fascista, come l’appello del Presente! Questo in memoria dell’anniversario della fatidica Marcia su Roma, ricorrente il 28 ottobre, ma anticipato di due giorni, per agevolare la partecipazione in una giornata domenicale. Predappio si prepara alla consueta, duplice celebrazione autunnale che la riconduce alla memoria di momenti significativi della storia contemporanea, propria e nazionale. Da una parte, la Marcia su Roma del Fascismo alla conquista del primo governo Mussolini; dall’altra, la liberazione predappiese dal nazifascismo: due avvenimenti entrambi fissati alla data del 28 ottobre, ma in anni diversi, la prima nel 1922, la seconda nel 1944. Una differenza non da poco, però, s’impone tra le due ricorrenze.
La Marcia su Roma si celebra sempre nella certezza della sua data, nell’obiettività della sua dinamica attuativa e della sua finalità; la liberazione di Predappio, invece, viene celebrata nella menzogna della sua sostanza. Innanzitutto, perché, come documentato, Predappio fu liberata il 27 e non il 28 ottobre ’44. Perché, come ampiamente risulta da diverse fonti, uniche liberatrici di Predappio dal nazifascismo furono le truppe polacche del generale Wladyslaw Anders. Perché, come tanti hanno narrato, non escluso qualche illustre storico forlivese, i pochi partigiani predappiesi, sedicenti liberatori, compreso il loro comandante, poi salito a responsabilità municipali, si fecero vivi a cose fatte e concluse dai polacchi, magari uscendo dal sicuro di qualche cantina. Fatto quest’ultimo che mi richiama Alberto Sordi nel film “Accadde al penitenziario” del 1955, quando dichiara di aver fatto la guerra, la resistenza, chiuso per un anno in una cantina, e alla domanda del commissario se fosse uscito a guerra finita risponde impavido “No, sono uscito quando è finito il vino!”
Quella del 28 anziché il 27 ottobre come data della liberazione di Predappio fu solo il meschino stratagemma per falsificare il corso della storia, cogliendo al balzo l’inaspettata possibilità di far coincidere, tanto simbolicamente nello stesso giorno e proprio nel paese natale del Duce, ove tutto aveva avuto origine, la fine del Fascismo predappiese con la memoria della marcia d’avvento del regime mussoliniano. Insomma, l’ennesima triste menzogna del Pinocchio resistenziale, certo di farla sempre franca nel narrare per verità tanta falsità e per questo tanto rancoroso nei confronti di Giampaolo Pansa, colpevole di aver smascherato fandonie partigiane nel suo saggio La Grande Bugia. Adesso che, però, sempre più si è dissolto e si dissolve il culto dell’epica resistenziale dei partigiani contro il male assoluto fascista e altrettanto si rivela assurdo il postulato aprioristico e dogmatico dell’antifascismo garante della democrazia, ecco che sopravviene spontanea la considerazione quanto, sinora e ovunque, Predappio compresa, si sia soffocata tanta memoria del Fascismo.
Ancora oggi Predappio vale, conta ed è meta di tanto interesse altrui, esclusivamente per il suo passato fascista, non certo per il suo minimo presente di qualche fabbrichetta, di qualche azienda agricola o vinicola e, magari, di qualche manifestazione a tarallucci e vino. Predappio s’impone ed è meta turistica da tutto il mondo perché paese natale di Benito Mussolini, nel bene e nel male fondatore del Fascismo e sicuramente grande protagonista della storia del primo ‘900; perché, come altre, essa stessa “città di fondazione fascista”, dotata d’innovativo pieno urbanistico e regolatore; perché, poi, museo a cielo aperto di tanta architettura fascista razionalista, non aliena dal conciliarsi magicamente con elementi della tradizione rinascimentale; perché, infine, impegno esemplare e riuscito del Ventennio per nuova occupazione locale, maschile e femminile, attraverso la delocalizzazione di un’attività industriale di alto contenuto tecnologico, quale l’industria aeronautica Caproni. Tutto questo conta, vale, è segno tangibile cosa, a Predappio e altrove, sia stato il Fascismo, pur non assolvendolo o giustificandolo per gravi sue colpe e responsabilità.
Dunque, inevitabile che la celebrazione dell’anniversario della fatidica Marcia su Roma abbia la sua piena ragione di ricorrere, rinnovando la memoria di ciò che gli italiani, i predappiesi sono stati, di quanto hanno costruito e, comunque, consegnato alla storia. La stessa cosa non possiamo dire del vecchio antifascismo resistenziale e, maggiormente, di quell’attuale, per così dire post resistenziale, sempre più e spesso, anche a Predappio, solo faziosamente pretestuoso, tanto da ricordare la liberazione del paese con la bufala di una data sbagliata, con l’usuale, rabbioso corteo antifascista di grida e invettive, slogan e bandierume vario, per chiudere in bellezza con la solita “pastasciutta antifascista”, innaffiata dal vino rosso partigiano.
La destra, quella vera, escluso, dunque, il suo patetico surrogato, oggi alla guida di Predappio, ha più che mai pieno diritto a celebrare la Marcia su Roma nel paese natio del Duce e nel rispetto di quell’ambito commemorativo che, recentemente, la stessa Corte di Cassazione a sezioni unite ha riconosciuto circostanza legittima per l’esibizione di ritualità fascista, quali il saluto romano e l’appello del Presente!
Dopo anni di immotivata persecuzione, dopo numerose vittorie e assoluzioni giudiziarie sul tema se emergesse o no apologia del Fascismo da talune modalità celebrative con finalità solo commemorativa, dopo tanta museruola, imposta a Predappio dall’ipocrisia amministrativa dell’attuale giunta e dalla condotta di taluno della famiglia Mussolini e di quanti lo supportano, ebbene chi di fede fascista può tornare ad onorare degnamente la propria storia, i propri morti, davvero nel pieno riconoscimento che “Anche i fascisti hanno diritti”, come tanto efficacemente, ma soprattutto con fondata dottrina giuridica ha scritto e argomentato nel suo fortunato saggio di successo l’avvocato forlivese Francesco Minutillo.
Franco D’Emilio