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A livella tra il papa peronista e il principe fascista

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La morte annulla, pareggia le differenze sociali nel comune destino di ritornare tutti inesorabilmente solo polvere, appena senza più alcun alito vitale di esistenza materiale. Una sorta di livella, proprio come quella efficacemente raccontata da Totò nella sua splendida poesia ‘A livella, sul pareggio inevitabile tra la morte di un altezzoso marchese e quella di un misero netturbino.

Con la morte non contano più le ricchezze, i fasti, neppure pesano più la povertà, le difficoltà quotidiane: tutti alla pari, nell’attesa, per chi ci crede, del Giudizio Supremo sulla propria condotta terrena. Adesso, la morte ha pareggiato pure la sorte sepolcrale tra il pontefice, Papa Francesco, recentemente volato via nel battito d’ali del Lunedì dell’Angelo, e il comandante fascista, Junio Valerio Borghese, notoriamente “il principe nero”, protagonista di tanta storia del Fascismo e del duraturo movimento neofascista, persino con il tentativo di un colpo di stato nel dicembre 1970, appunto il golpe Borghese.

Tutti e due sepolti a Roma, l’uno poco distante dall’altro, entrambi nella Basilica di Santa Maria Maggiore, Papa Francesco in una tomba defilata, il principe Junio Valerio dal 1974 nella splendida cappella di famiglia, celebrativa della grandezza dei Borghese. Dunque, se, in vita, per nove anni è stato costretto alla coabitazione col pontefice emerito Benedetto XVI, adesso Jorge Mario Bergoglio, papa degli ultimi e dell’ennesimo tentativo, in verità scarso di risultati, di rinnovamento della Chiesa, si vede coinquilino funebre di Santa Maria Maggiore assieme a Junio, valoroso comandante fascista con la triplice attribuzione dell’oro, dell’argento e del bronzo, sempre al valore militare.

Eppure, è una vicinanza sepolcrale che non stona, non sorprende, checché possa dirne, scriverne tanta sinistra baciapile, prona al bacio della pantofola. Se, infatti, il principe nero Junio ha creduto sino in fondo nell’ideale politico fascista, Papa Francesco si è rivelato, invece, un neo peronista, non lontano dal cliché politico del suo connazionale, il generale dittatore Juan Domingo Peron. Papa degli ultimi, quindi, rinnovando, in realtà, le corde di Peron e della moglie Evita. Come quest’ultimi Bergoglio è stato populista nel senso che, come pontefice desideroso di riformare la Chiesa, ha sempre cercato la legittimazione dei suoi intenti riformistici più nelle tante piazze, per lui esultanti e “descamisade”, piuttosto che nel confronto critico con tutto il clero ed il vasto, articolato mondo cattolico.

Come Peron ed Evita, Papa Francesco non è rimasto immune da un mixer di idee progressiste, di evidente venatura socialisteggiante, unite a idee, però, conservatrici sul piano etico; come negli auspici del peronismo, anche Papa Francesco per i suoi ultimi ha cercato il riscatto in una via intermedia tra il liberismo capitalista e l’egualitarismo economico, dunque proprio in quella “terza posizione economica”, cosi tipica della destra occidentale.

Per questo suo complessivo e velleitario atteggiamento Papa Francesco non è riuscito in modo significativo nell’intento di ammodernare e far progredire la Chiesa in modo unitario e concorde. Progetto, questo, fallito per l’incapacità o, forse, il mancato proposito di coniugare riforma e tradizione, pratica e dottrina religiosa. Insomma, Jorge Mario Bergoglio è stato papa di illusoria consistenza, più pastore e profeta che pontefice e guida di salda mano alla guida della grande comunità cattolica nel mondo.

Qualcuno obietterà che i papi non fanno politica, ma perseguono soltanto il bene dell’umanità nel nome del Vangelo, per questo Papa Francesco si è schierato con gli ultimi, distinguendosi in tante iniziative per la carità, la pace, i giovani e i diseredati. Vero, questi sono i compiti primari e ideali di ogni pontefice, ma, per favore, non cadiamo dal pero, non pecchiamo di ingenuità: i pontefici devono anche regnare, governare e amministrare la dimensione terrena della Chiesa, magari si può distinguere tra chi lo fa con maggiore o minore, seppur sempre esplicita, copertura evangelica.

La nostra Chiesa registra un marcato calo di fedeli; per debiti crescenti l’Obolo di San Pietro lacrima sempre più, al pari de Il piatto piange, indimenticabile romanzo di Piero Chiara; permane il calo pluridecennale delle vocazioni per quella che lo scrittore Fulvio Tomizza raccontò come La migliore vita. Che dire, morto un papa se ne fa un altro, speriamo migliore di quello trascorso, ma che, soprattutto, davvero me lo auguro di cuore, sia contemporaneamente pastore, profeta e cane guardiano, sì proprio così, della dottrina, dei principi e dei valori della nostra Chiesa. Tutto il resto è solo vana retorica dell’ovvietà, ancora di più quando la morte inesorabilmente e’ livella tra un papa e un camerata principe nero.

Franco D’Emilio