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A Forlì l’acqua alla gola di via Isonzo e via Pelacano

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Ieri sera la triste, amara telefonata di una famiglia forlivese, residente in via Isonzo, che conosco e frequento da 38 anni, sempre col beneficio di un’amicizia schietta, generosa e leale, da me parimenti ricambiata. Ha deciso di arrendersi, gettare la pesante spugna, intrisa d’acqua di ripetuta vittima alluvionata: non ne può più, la sua vita è diventata ansiosa e logorante ad ogni prima goccia di pioggia; ha perso molto e non mancano, addirittura, conseguenti debiti, mai posseduti prima delle due alluvioni; dunque, svende casa e cambia aria, città e, per dirla alla romagnola, vadano tutti, naturalmente chi comanda e amministra, “int e casin!

Ho inteso sconforto e tanta rabbia, ormai rassegnata, io stesso nel mio dispiacere mi sono sentito un forlivese illuso, sconfitto. È l’acqua alla gola che incombe impietosa in diverse zone di Forlì, chiaramente esposte al rischio alluvionale: eppure qualche causa di tanto pericolo c’è, ma troppi la negano senza discuterla e volgono lo sguardo altrove, quasi che siano solo chiacchiere di popolino, di strada, magari proprio di via Isonzo e via Pelacano (nella foto), le due vie forlivesi affogate nella paura e con sempre meno speranze.

Una cosa, però, voglio dirla, anzi no, riferirla perché conclusione di un tecnico ingegnere che preferisce restare anonimo. Gran parte delle fogne forlivesi, comprese quelle delle vie Isonzo e Pelacano, hanno più di mezzo secolo e sono state realizzate secondo la crescita antropica, appunto di 50 anni fa. Gli alluvionati delle due strade forlivesi concordano nel riferire come l’acqua risalga incontenibile dalla rete fognaria e questa testimonianza viene confermata nella sua attendibilità dalla seguente considerazione tecnica: tutto questo consegue al fatto che le fogne bianche nel loro punto finale di sbocco verso il fiume sono prive di “valvola di non ritorno”, utile ad evitare che il corso d’acqua in piena entri nella rete delle fogne, facendo saltare i pozzetti.

Sono ignorante in materia di idraulica del territorio, quindi mi limito a riportare quanto appreso, di sicuro, però, non sarebbe male, al riguardo, una verifica, un chiarimento, forse, se giusta perché ineludibile, anche un’eventuale ammissione da parte di chi amministrativamente competente e responsabile. Certamente, bisogna nel tempo, ma con celere programmazione ripensare tutto l’assetto idraulico del territorio, quello di superficie e quello sotterraneo, soprattutto dei fiumi dalla sorgente alla foce, dotandoli pure di opportune vasche di laminazione, contenitive delle esondazioni, le stesse efficacemente realizzate dal governatore Zaia in Veneto. Forlì non deve soffrire e morire per l’acqua alla gola.

Franco D’Emilio