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La ruota degli esposti era una vergogna umana e sociale
Nei giorni scorsi è stata avanzata la proposta di evidenziare con una targa il luogo dov’era un tempo collocata la ruota in cui venivano lasciati gli esposti, cioè gli infanti che venivano abbandonati. La richiesta era corredata da un indicazione del posto corrispondente alla facciata di Palazzo Merenda, l’ex Casa di Dio, cioè la prima vera sede ospedaliera di Forlì, e da una fotografia.
I proponenti hanno sbagliato sia la posizione sia la fotografia, in quanto la ruota era collocata in via San Pellegrino Laziosi, in un posizione leggermente scostata rispetto alla centralissima strada principale, e non su quello che ora è corso della Repubblica. Si trattava di una bussola girevole di forma cilindrica divisa in due parti: una rivolta verso l’esterno e una verso l’interno. Di solito, attraverso uno sportello, era possibile collocare gli esposti senza essere visti dall’interno. Facendo girare la ruota, essa andava a combaciare con un’apertura all’interno, dove lo sportello veniva aperto e al neonato potevano essere assicurate le cure necessarie.
All’interno dei locali del piano terra di Palazzo Merenda, dove un tempo era attiva una delle emeroteche più fornite d’Italia, si può ancora vedere lo spazio occupato da quella che è stata l’emblema di una vera e propria vergogna nazionale che negava il diritto di vedere accertata la paternità di ogni bambino. Storicamente non va sicuramente considerata un segno di progresso e di civiltà.
Spesso vicino alla ruota vi era una campanella, per avvertire che era stato lasciato un neonato, ed anche una feritoia nel muro, una specie di buca delle lettere, dove mettere offerte per sostenere chi si prendeva cura degli esposti. Solitamente nella ruota assieme al neonato venivano lasciati monili, documenti o altri segni distintivi che potevano servire per un eventuale successivo riconoscimento da parte di chi l’aveva abbandonato.
Invece di lodare la ruota, per aprirne delle altre, si dovrebbe promuovere il diritto della donna a partorire in ospedale assicurandole ogni aspetto clinico e si dovrebbe mettere tutte a conoscenza dell’eventuale possibilità di non riconoscere il figlio, come codificato dalla legislazione vigente.
Gabriele Zelli