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Forlì

La ruota degli esposti era una vergogna umana e sociale

Di Gabriele Zelli Leggilo in 2 minuti
Aggiornato: 22 aprile 2024
La ruota degli esposti era una vergogna umana e sociale

Nei giorni scorsi è stata avanzata la proposta di evidenziare con una targa il luogo dov’era un tempo collocata la ruota in cui venivano lasciati gli esposti, cioè gli infanti che venivano abbandonati. La richiesta era corredata da un indicazione del posto corrispondente alla facciata di Palazzo Merenda, l’ex Casa di Dio, cioè la prima vera sede ospedaliera di Forlì, e da una fotografia.

I proponenti hanno sbagliato sia la posizione sia la fotografia, in quanto la ruota era collocata in via San Pellegrino Laziosi, in un posizione leggermente scostata rispetto alla centralissima strada principale, e non su quello che ora è corso della Repubblica. Si trattava di una bussola girevole di forma cilindrica divisa in due parti: una rivolta verso l’esterno e una verso l’interno. Di solito, attraverso uno sportello, era possibile collocare gli esposti senza essere visti dall’interno. Facendo girare la ruota, essa andava a combaciare con un’apertura all’interno, dove lo sportello veniva aperto e al neonato potevano essere assicurate le cure necessarie.

All’interno dei locali del piano terra di Palazzo Merenda, dove un tempo era attiva una delle emeroteche più fornite d’Italia, si può ancora vedere lo spazio occupato da quella che è stata l’emblema di una vera e propria vergogna nazionale che negava il diritto di vedere accertata la paternità di ogni bambino. Storicamente non va sicuramente considerata un segno di progresso e di civiltà.

Spesso vicino alla ruota vi era una campanella, per avvertire che era stato lasciato un neonato, ed anche una feritoia nel muro, una specie di buca delle lettere, dove mettere offerte per sostenere chi si prendeva cura degli esposti. Solitamente nella ruota assieme al neonato venivano lasciati monili, documenti o altri segni distintivi che potevano servire per un eventuale successivo riconoscimento da parte di chi l’aveva abbandonato.

Invece di lodare la ruota, per aprirne delle altre, si dovrebbe promuovere il diritto della donna a partorire in ospedale assicurandole ogni aspetto clinico e si dovrebbe mettere tutte a conoscenza dell’eventuale possibilità di non riconoscere il figlio, come codificato dalla legislazione vigente.

Gabriele Zelli

L'autore

Gabriele Zelli
Gabriele Zelli

Ex sindaco di Dovadola, classe 1953, dal 1978 al 1985 dipendente del Comune di Dovadola. Come volontario in ambito culturale è stato dal 1979 al 1985 responsabile della programmazione del Cinema Saffi e dell'Arena Eliseo di Forlì e dal 1981 al 1985. Coordinatore del Centro Cinema e Fotografia del Comune di Forlì. Nel giugno 1985 eletto Consigliere comunale e nell'ottobre 1985 nominato Assessore comunale di Forlì con deleghe alla cultura e allo sport. Da quell'anno ha ricoperto per 24 anni consecutivi il ruolo di amministratore dello stesso Comune assolvendo per tre mandati le funzioni di Assessore e per due a quella di Presidente del Consiglio comunale. Dirigente e socio di associazioni culturali, sociali e sportive presenti in città e nel comprensorio. Promotore di iniziative a scopo benefico. E' impegnato a valorizzare il patrimonio culturale, storico e artistico di Forlì e della Romagna. A tale scopo dal 1995 ha organizzato una media di oltre 80 appuntamenti annuali, promuovendo anche interventi di recupero del patrimonio architettonico di alcuni edifici importanti o delle loro parti di pregio. Autore di saggi e volumi, collabora con settimanali, riviste locali e romagnole. Dirigente dal 1998 di Legacoop di Forlì-Cesena in qualità di Responsabile del Settore Servizi. Nel 1997 è stato insignito dell'onorificenza di Cavaliere Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana.

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