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Che favola il Natale a Forlì

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Che favola il Natale a Forlì, soprattutto per chi ancora crede alle favole, magari che tutto va bene madama la marchesa… quindi tanti auguri e prosit! Volete mettere, Natale in piazza Saffi, il salottino buono, pur se logoro e sdrucito, della città in tutto lo sbrilluccichio della “Forlì che brilla”? Di nuovo, luminarie, giochi di luci e immagini che scorrono, si rompono e ricompongono nel caleidoscopio magico di una Forlì inesistente, davvero favolosa perché solitamente triste, deserta e desolante: città municipale ora dimentica di molti, recenti “sommersi e salvati”, generosa nell’azzardo delle sue mani bucate per tanta stupenda, inondante scenografia natalizia che solo confonde, nascondendo polvere e cocci sotto il tappeto, ma non salva dalla vergogna che in mancanza del pane per tutti si pensi di offrire brioche.

Di nuovo in piazza Saffi il solito abete con le palle, almeno una volta l’anno la municipalità le tira fuori per prodigalità verso i suoi cittadini, insomma un albero quasi totem del culto idolatrico di una festa ormai solo di tredicesime, corsa a regali, perlopiù inutili quelli ad amici e conoscenti, e, per chiudere in bellezza, di rimpatriate familiari, spesso ipocrite e grottesche con tanti baci e abbracci alla Parenti Serpenti, sferzante film natalizio del maestro Mario Monicelli.

Di nuovo, ancora più lunga in piazza Saffi la pista di ghiaccio per pattinare sotto lo sguardo austero del grande patriota triumviro: povero Aurelio, quasi sconcertato che a nuove esperienze con l’uso del cervello e del cuore dei forlivesi si anteponga quella di incauti pattini sul ghiaccio con tanto rischio di finire culo per terra. Ma, forse, quest’anno siamo tutti più abili a scivolare sul ghiaccio, vista l’esperienza di tanto pattinamento, improvviso scivolamento sul fango dell’alluvione.

Di nuovo, pure nella piazza Saffi di tanta messinscena natalizia tornano i selfie ad hoc dei nostri politici e amministratori, le solite facce toste da impuniti, magari gli stessi che tanto fuori luogo si sono già immortalati in autoscatti, celebrativi dello stare, perlopiù per presenzialismo prezzemolino, tra i “burdel de paciugh”. Ci sono tutti: il giovanottino di malriposte speranze, sinora incapace di insaccare politicamente persino un rigore a porta vuota; l’amministratrice bon ton il cui arrivo è preannunciato dal rumore della numerosa chincaglieria ornamentale addosso; l’incauto snob elegantone, di preferenza in primo piano, gentleman di “ca’ nostra”, testardamente emulo di Lord Brummel in terra romagnola, tra una piada e un gotto di sangiovese.

E attorno, di nuovo, le bancarelle natalizie del superfluo che, quando, ormai, a casa abbiamo già quel che ci serve, tanto o poco che sia, provano a cavarci di tasca ancora altri quattrini, rendendoci, così, dimentichi delle prossime bollette e degli aiuti pro alluvionati, sinora neppure un centesimo, solo perfide, vessatorie pratiche amministrative per ottenerlo. Però è Natale e in piazza Saffi questa festa è davvero una favola!

Nella ricorrenza del Natale bisogna mettere da parte le ansie, le preoccupazioni, il malumore, soprattutto bisogna ignorare le persone come me, ironiche, caustiche, bastian contrarie e avvezze a spargere sale sulle ferite aperte; bisogna vivere, assaporare l’orgia natalizia in piazza per tornare, poi, a casa e ritrovarsi tra quattro pareti, un alberello stentato con poche luci, nulla in confronto al circo di luminarie in piazza.

Pochi giorni e, trascorsa la festa, ci dimenticheremo presto anche di questo Natale: l’abete si riporrà in soffitta o si getterà nel bidone; le palle le ritireremo fuori l’anno prossimo; a malapena, torneremo a rispondere al saluto dell’altro condomino del nostro piano.
Tutto come prima nell’attesa di rivivere, di nuovo, in piazza Saffi la favola menzognera del Natale che non c’è.

Franco D’Emilio