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Giulia, abbi pietà di noi
Quella trascorsa è stata, ancora di più, una notte difficile, impossibile dormirci sopra, tanto la misura era già colma di simili storie che è bastata l’ennesima goccia perché tutto traboccasse oltre l’orlo dell’umano dolore comprensibile. Come tanti, mi sono sentito costretto in ginocchio, muto e disperato dinanzi alla tragedia di Giulia Cecchettin, trovata senza vita in un canale prossimo al lago di Barcis nella provincia di Pordenone, picchiata e più volte accoltellata, unico sospettato l’ex fidanzato Filippo Turetta. Lascio alle autorità competenti l’accertamento della verità giudiziaria, non nascondo che per niente mi interessa la cronaca nera di questo rinnovato delitto contro le donne, stavolta contro il lieve, dolce, promettente sorriso di Giulia.
Ho rigirato a lungo tra le mani il cellulare con la terribile notizia del ritrovamento e la foto della giovane con il volto chiaro, pulito, ventiduenne, ma pare appena sedicenne, e con le labbra increspate dall’auspicio di tanto futuro e lavoro, amore e, forse, una famiglia d’amore e figli. L’auspicio era proprio il sorriso di Giulia sotto gli occhi lucidi, due luci stupende sulla vita per illuminare e vedere lontano; poteva essere il sorriso di una mia figlia oppure una mia nipote, per questo ci ho pianto sopra, sommessamente nella gola strozzata da tanto sgomento. Piccola, cara Giulia, fiore brutalmente reciso.
Ad oggi sono 78 le donne uccise in Italia da uomini indegni del vivere civile. Non mi piace usare il termine femminicidio che trovo riduttivo ed offensivo della parità di genere: uomini e donne sono cittadini di equivalente valore e rispetto dovuto. La scomparsa di Giulia è l’ennesima conferma del fallimento educativo del sistema scolastico italiano, quindi della politica e della totale mancanza di un’educazione alle relazioni interpersonali, soprattutto propedeutiche agli affetti e agli amori, alla sessualità e alla famiglia. Dobbiamo rimediare presto, senza se e senza ma, tutti uniti da destra a sinistra.
Sono le due di notte e sono qui come un bischero, scusate il francesismo toscano, a tirar fuori dal cuore il peso che mi opprime dopo la notizia che Giulia ci ha lasciato. Mi vergogno tantissimo per la convinzione quanto la mia generazione, quella del ’68 ed altre, azzardate baggianate correlate, non abbia saputo costruire sino in fondo e, poi, difendere la parità e il rispetto della donna.
Mi sovviene, ora, il ricordo, una sera a cena, di una sonora sberla, datami da mio padre, uomo solitamente mite e di grandi valori, per avere io, giovane liceale maturando, apostrofato una compagna di scuola come “una che la dava via”: mi ingiunse di restare a tavola e non fiatare, pensassi, invece, perché non facesse scandalo che “gli uomini dessero via il loro”. Cara, sorridente Giulia, abbi pietà di noi e perdonaci di non averti garantito assieme ad altre donne, immolate dalla violenza possessiva maschile: forse, ancora oggi, qualche sberla aggiunta non ci starebbe male.
Franco D’Emilio