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Vendemmia 2023. Coldiretti: “In Romagna si stima un danno complessivo del 25%”

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La vendemmia 2023 in Italia mette in moto un esercito del vino che conta 1,5 milioni di persone impegnate direttamente nei campi, nelle cantine e nella distribuzione commerciale, ma anche nelle attività collegate, dall’enoturismo alla cosmetica fino alle bioenergie. È quanto emerge da una analisi Coldiretti in occasione della divulgazione delle stime a metà vendemmia di Assoenologi, Ismea e Uiv che confermano sostanzialmente quelle diffuse dalla principale organizzazione agricola il 3 agosto scorso all’inizio della raccolta.

Per quanto riguarda l’Emilia-Romagna, nel versante emiliano, nonostante le grandinate, la produzione resiste seguendo l’intera dorsale che da Modena, Piacenza e Parma si spinge fino all’Oltrepo Pavese e all’Astigiano – spiega il direttore di Coldiretti Emilia Romagna Marco Allaria Olivieri –. Desta preoccupazione l’aumento di diffusione di flavescenza dorata, segnatamente nel modenese, dove a causa di questa fitopatia le produzioni saranno in flessione”.

Diversa la situazione – afferma Nicola Bertinelli presidente di Coldiretti regionale – per quanto riguarda i vigneti della Romagna, colpita dall’alluvione di maggio: la zona maggiormente interessata è quella della pianura ravennate e forlivese e in parte il bolognese, dove si stima un danno complessivo del 25% su una superfice di circa 2.500 ettari, con picchi di oltre il 50%. In questa area sono interessati principalmente i vigneti di Trebbiano e Sangiovese”. Danni diretti e indiretti anche su alcune centinaia di ettari della collina romagnola e imolese, principale serbatoio della D.O. Romagna, a causa di piogge torrenziali e frane, con una perdita di prodotto stimata del 15-20%, principalmente sui vigneti di Albana, Sangiovese e Chardonnay.

Il vino è il prodotto agroalimentare italiano più esportato all’estero con un valore che nel 2022 è stato pari a 7,9 miliardi sui mercati mondiali creando opportunità di lavoro che spaziano dai viticoltori agli addetti nelle cantine fino alla distribuzione commerciale, per allargarsi ai settori connessi, di servizio e nell’indotto che si sono estesi negli ambiti più diversi: dall’industria vetraria a quella dei tappi, dai trasporti alle assicurazioni, da quella degli accessori, come cavatappi e sciabole, dai vivai agli imballaggi, dalla ricerca e formazione alla divulgazione, dall’enoturismo alla cosmetica e al mercato del benessere, dall’editoria alla pubblicità, dai programmi software fino alle bioenergie ottenute dai residui di potatura e dai sottoprodotti della vinificazione (fecce, vinacce e raspi).

Ma il vino Made in Italy – spiega Coldiretti – deve affrontare anche altri attacchi, dalla decisione della Ue di autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol anche nei vini a denominazione di origine alla pratica dello zuccheraggio, fino al vino senza uva con l’autorizzazione alla produzione e commercializzazioni di vini ottenuti dalla fermentazione di frutti diversi dall’uva come lamponi e ribes molto diffusi nei Paesi dell’Est. Ma a pesare sono anche i rischi legati alle richieste di riconoscimento di denominazioni che evocano le eccellenze Made in Italy – ricorda Coldiretti – come nel caso del Prosek croato, un vino dolce da dessert tradizionalmente proveniente dalla zona meridionale della Dalmazia, contro la cui domanda di registrazione tra le menzioni tradizionale l’Italia ha fatto ricorso, in virtù del fatto che potrebbe danneggiare il Prosecco.
Il vino rappresenta un patrimonio del Made in Italy anche dal punto di vista occupazionale che va difeso dai tentativi di colpevolizzarlo sulla base di un approccio ideologico che non tiene contro di una storia millenaria che ha contribuito non solo a far grande il nostro agroalimentare, ma si inserisce appieno nella Dieta Mediterranea che in questi anni ha visto gli italiani primeggiare per longevità a livello europeo e mondiale” ha dichiarato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.