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Quando il PCI sognava le stelle e voleva la Luna
Anche la notizia dell’atterraggio, anzi no, scusate, dell’allunaggio alle 14,30, ora italiana, del 23 agosto scorso della navicella spaziale, sparata dall’India alla conquista del polo sud della Luna, fa capire quanto i tempi siano cambiati, quanto si sia allargata pure la corsa alla conquista dello spazio. Dopo gli Stati Uniti, la Russia e la Cina adesso pure la terra di Gandhi; quasi un doppio di tennis, da una parte americani e indiani, dall’altra russi e cinesi ovvero due democrazie contro due dittature, ma tutte e quattro, più o meno, con la contraddizione di far convivere la propria corsa allo spazio con loro gravi problematiche sociali ed economiche interne: tanta povertà in casa russa, cinese e indiana, ma sacche di miseria, aggravate dal razzismo e dalla fragilità del capitalismo, anche tra gli yankee.
Eppure, si punta allo spazio, lasciando irrisolti tanti problemi degli ultimi sulla terra, addirittura l’India per prima al polo sud lunare, nonostante la sua condizione notoria di vacche miseramente magre.
In fondo, per fuggire dalla realtà terrena, anche con una distrazione di massa dell’attenzione altrui, si è spesso guardato, puntato alla Luna: magari nei casi più felici con l’interrogativo leopardiano del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” oppure con il potente ritmo reggae della canzone “E la luna bussò”. La navicella indiana, pochi giorni fa allunata, mi fa tornare indietro al 1958, l’anno della fotografia, qui allegata, tratta dal mio archivio: il 25 e il 26 maggio di quell’anno si sarebbero svolte le elezioni politiche e nelle maggiori città italiane, perlopiù i capoluoghi di regione, la propaganda elettorale del Partito Comunista Italiano si affidò anche alla celebrazione del lancio dalla terra del primo satellite spaziale, appunto il sovietico Sputnik dalla base di Bajkonur nell’URSS il 4 ottobre 1957.
La foto, non molto nitida, comunque di efficace memoria storica, ritrae un autoveicolo quasi futuribile, contrassegnato sull’abitacolo di guida dal logo comunista, attrezzato da falce e martello, sui fianchi la lapidaria esortazione “vota comunista” e sul pianale la riproduzione dello Sputnik, praticamente una sfera, poco più di 50 cm. di diametro, con quattro lunghe antenne radio esterne. Il mezzo della foto è in sosta a Roma lungo via dei Fori Imperiali in piena campagna elettorale del ’58, poco dissimile dagli altri veicoli, utilizzati altrove.
A Firenze si ironizzò sulla forma del veicolo, definendolo “suppostina” o “transpulmina”, in quest’ultimo caso dal nome di un farmaco antinfluenzale a supposte, molto usato dagli anni ’50 a metà anni ’60, nonostante una diffusa avversione alla sua trafiggente somministrazione; tanto inverecondo richiamo, però, alla fine non dispiacque ai comunisti fiorentini, felici che il successo dello Sputnik, guarda caso il nome russo voleva dire “compagno di viaggio”, potesse accompagnare, segnare il trionfo del socialismo reale dell’URSS, quindi giovare a tutti i compagni comunisti nel mondo, risultando così una bella suppostona in quel posto al capitalismo guerrafondaio e imperialista dell’occidente, servo degli americani.
Nell’ottobre del ’57, pochi giorni dopo il lancio dello Sputnik, frequentavo la prima elementare e ricordo come la maestra Loredana chiedesse ad ogni scolaro che lavoro facesse il babbo o entrambi i genitori, se la mamma non solo donna di casa. Indelebile la risposta del mio compagno di banco Giovanni “Il mi’ babbo l’è il capo dei comunisti di Firenze per la rivoluzione in terra e nello spazio con lo Sputnik!” “Maremma, al banco m’è toccato un tipo ganzo!” il mio pensiero dinanzi a tanta orgogliosa fermezza.
La maestra Loredana aveva sorriso, liquidando Giovanni con il sibilo di un “siedi pure, carino”; invece, mio nonno Francesco, coriaceo repubblicano, al bavero della giacca sempre la spilletta della foglia d’edera, placcata oro e orlata da un filo di lacca verde, al mio racconto circa le parole del prode figlio del capo comunista fiorentino aveva preso la palla al balzo, mettendo a rete in rovesciata, alla maniera del leggendario Piola, una battuta ancora viva nei miei ricordi familiari “Bellino davvero codesto Giovanni, ora si pole sta’ tranquilli, presto anche a Firenze l’è sicuro che arrivi la rivoluzione: in cielo su San Miniato lo Sputnik, nato e sputato; in terra i cosacchi ad abbeverare i cavalli alla Fontana del Biancone in piazza della Signoria!”
Giovanni è ancora oggi un grande, fraterno amico; da tempo non è più compagno ed ha smesso di sognare la luna, veder le stelle; per tanti anni ha fatto il vigile urbano, ora fa il pensionato nella buriana di ben 14 tra nipoti e pronipoti. Nello, l’ex capo dei comunisti fiorentini, due manone da fabbro a forgiare cancelli e ringhiere, ha avuto la fortuna di andarsene compagno, pago delle sue idee; aveva conosciuto mio nonno Francesco sino a diventarne amico con tanta reciproca simpatia: alla battuta di Nello, che a Firenze la sede dei repubblicani non avesse il bagno perché quattro gatti appena la facevano comodamente sui tetti, l’altro aveva subito rimbeccato di capire finalmente perché in strada i comunisti fiorentini camminassero rasente ai muri con lo sguardo attento verso i cornicioni dei palazzi! Altri tempi, quando nessuno chiedeva la luna, solo e sempre i piedi saldi a terra.
Franco D’Emilio