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Messina Denaro criminale onesto? Gettiamo la chiave

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È stato reso noto il contenuto del primo interrogatorio del boss mafioso Matteo Messina Denaro da parte dei magistrati Maurizio De Lucia e Paolo Guido lo scorso 13 febbraio. Lo spregevole delinquente ha risposto solo ad alcune domande, su altre ha taciuto; ha poi dichiarato di non essere responsabile dell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido; infine ha ribadito che mai si pentirà né farà la spia, rivelando nomi, notizie e circostanze utili alle indagini, neppure per eventuali suoi benefici carcerari. Non c’è che dire: un volgare, incallito assassino mafioso che, anche grazie ad un informazione eccessiva sulla sua miserabile figura, si crogiola nella notorietà di “capo dei capi”.

Nel corso dell’interrogatorio questo rifiuto della società si è definito un “criminale onesto” ovvero con tanta faccia tosta, arrogante, pure provocatoria ha stravolto a suo favore il concetto di onestà, rendendolo compatibile con la condotta criminale, addirittura esplicativo del valore positivo di questa stessa condotta. Subito “criminale onesto” pare un ossimoro, visto l’accostamento di due parole, concetti opposti, tra loro inconciliabili, e qualunque persona onesta non può aver dubbi sulla contraddittorietà di una simile locuzione.

Però, Matteo Messina Denaro con quel fare levantino, manipolatore e subdolo, tipico del modus operandi della mafia, considera l’onestà come sinonimo di lealtà, di coerenza umana, persino morale, quindi egli è stato e si considera tuttora un criminale onesto perché leale, e, cosa non da poco, umanamente e moralmente coerente con la propria vocazione e scelta criminale mafiosa. Assurdo, inconcepibile: un boss criminale si mette a filosofeggiare, a giocare dialetticamente sulle parole, prescindendo dalla manifesta verità o, addirittura, irridendola.

Come tanti italiani, mi sento offeso, quasi beffato, anche nel pensiero ricorrente alle tante vittime della mafia ladra e assassina. Butterei via la chiave e lo lascerei marcire in cella. Un cancro lo tormenta e lo stato lo cura e assiste: io spero che la giustizia divina arrivi prima di quella umana e lo soffochi nel suo ultimo, disperato flashback su quanto malvagie siano state la sua vita, la sua anima.

Franco D’Emilio