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Il generale e il mondo che va al contrario

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Ultimo aggiornamento:

“Il mondo al contrario”, questo il titolo del libro scritto e autoprodotto dal generale Roberto Vannacci, ha sollevato una ridda di polemiche, accuse, anche scomposte e male articolate, ma soprattutto ha determinato la sola conseguenza immediata e tangibile: la rimozione dell’alto ufficiale dalla guida dell’Istituto Geografico Militare di Firenze.
E, questa volta, la destra, dura e pura, ora al governo, pateticamente sempre più protagonista di una cattiva, penosa scimmiottatura politica della defunta Democrazia Cristiana, si è trovata nella sostanza sulle stesse posizioni dell’opposizione, dal PD al M5S, ai microbici Verdi e ciò che avanza.

Soltanto per un minimo, residuo pudore politico e, fra l’altro, pure con tanta pavidità di agitare appena le acque, giusto per vederne l’effetto, la destra di Meloni e Crosetto, così ferrea a chiacchiere, ma, nei fatti, purtroppo, cedevole ad un solo grissino per la sua consistenza molliccia, ha scelto la mediocrità di una parziale posizione attendista, quindi di non usare verso il generale Vannacci toni eccessivi di condanna o invocare provvedimenti estremi, come l’espulsione dai ranghi militari, proposta, appunto, dal Partito Democratico.
Dunque, non è piaciuta ed ha subito fatto scandalo la denuncia generalesca coraggiosa, pane al pane, senza peli sulla lingua, di un mondo che va al contrario, travolgendo i valori, la vocazione culturale, l’identità, la prospettiva antropologica e sociale del nostro paese.
Tutta la politica italiana, da destra a sinistra, si trova, invece, concorde nell’apprezzare questo mondo falsamente giusto, dritto, nonostante abbia solo il verso sbagliato, velenoso di confondere, sbaragliare la società, la famiglia, la coscienza dei cittadini.

Proprio questo mondo politico, comunque avvezzo, a dritta come a manca, al consenso supino, quasi da rituale papalino del “bacio della pantofola”, è sobbalzato sulle proprie cadreghine dinanzi al signornò di un suo generale, fra l’altro con un eccezionale curriculum professionale e, in un recente passato, nelle grazie sia della destra che della sinistra.
Vi rendete conto: come accettare che in un mondo politico di signorsì arrivi, bello bello e sparato, un cittadino, anche se nelle vesti di militare, a dire “io non ci sto” a vivere nel vostro mondo al contrario di tutto e tutti? Eppure, se questo stesso “io non ci sto” nel 1993 fu concesso dirlo al Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, contro l’insinuazione di essere stato beneficiario di un “tesoretto” di stato, perché adesso non possiamo ammettere che lo dica il generale Roberto Vannacci, fra l’altro per questioni meno prosaiche, ma intellettualmente più elevate perché coinvolgenti i valori della nostra Italia?

Su dodici capitoli il libro del nostro generale è così articolato: sei capitoli riguardano la società multiculturale e multietnica, la sicurezza e la legittima difesa, la famiglia, la patria, il pianeta lgbtq, infine l’animalismo; altri cinque toccano l’ambientalismo, l’energia, la casa, le tasse e la nuova città; tutto questo introdotto dal primo capitolo “Il buonsenso”, filo conduttore dello svolgimento dell’opera. I severi censori del generale si leggano il libro, anziché parlarne a vanvera, magari sventolando talune affermazioni del libro, più facilmente manipolabili per riaccendere l’antirazzismo, quindi accusare il nostro eccellente alto ufficiale di atteggiamenti discriminatori, razzisti, tipici di ambienti militari, ancora intrisi di sotterraneo spirito fascista.

Certo, ha scritto che la campionessa pallavolista di colore Paola Egonu, sicuramente italiana per la sua nascita a Cittadella (PD), non possiede le caratteristiche fenotipiche, somatiche caratteristiche della donna italiana, ma per caso questo è un’offesa? E’ razzismo dire che una cittadina è naturalizzata? Certo, ha scritto anche di diversità sessuali, ma non per la finalità di ridurre i diritti alle persone con diverso orientamento sessuale: su questo tema il generale Vannacci ha ribadito solo le diversità oggettive esistenti, opponendosi all’aprioristico egualitarismo che, invece, non ammette l’esistenza di persone diverse sessualmente.

Il generale ha giustamente espresso appieno quella libertà di espressione, garantitagli dall’art. 21 della Costituzione e niente affatto riducibile dalla sua appartenenza all’ordinamento militare, cosa questa che contrasterebbe con la parità costituzionale dei cittadini sul tema dei propri diritti e doveri. In fondo, Vannacci non scrive neppure cose nuove, però sono cose controcorrente affermate da un generale, dunque da un alto funzionario dello stato, pure militare, e la cosa risulta davvero disdicevole per il sistema e la logica del pensiero unico.

Eppoi, guardiamolo bene in faccia il nostro generale al pari come egli sempre guarda i suoi soldati, qualunque sia il loro grado: vi sembra il volto di un militare fanatico, magari fascistello? No, è persona gioviale, amabile, un comandante preparato, responsabile con due decorazioni primarie appuntate: la fedeltà allo stato e alle istituzioni, l’onore.
Mio nipote Andrea D’Emilio, alcune missioni di pace all’estero, tipo Afghanistan, ora, se ben ricordo, in Ungheria, presta da anni servizio nel Battaglione “Nembo” della Folgore, unità un tempo proprio al comando di Roberto Vannacci, eppure anche sotto il basco amaranto di Andrea c’è la faccia di un giovane cittadino, un buon soldato, l’amorevole padre di due bambini.

Si diano pace i falchi detrattori del nostro generale Vannacci. Stamani, un titolato saputo locale ha insinuato che, in realtà, il comandante abbia cercato con il libro di ricavare la giusta notorietà per entrare in politica: evidentemente, tanta malignità deriva da una personale consuetudine con talune modalità di successo nella vita. Ancora, l’ex ministro della difesa, la piddina Roberta Pinotti, commentando a sproposito la vicenda del libro “Il mondo all’incontrario”, ha dichiarato urgente prosciugare le sacche di sessismo nelle Forze Armate. Casi emblematici di chi grida, invano, “al lupo al lupo” contro l’Italia ed un suo fedele servitore, il generale Roberto Vannacci.

Franco D’Emilio