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Colpo di sole il boom di turisti a Forlì?
Mi chiedo se il boom di turisti a Forlì, tanto strombazzato da qualche assessore del Comune di Forlì, sia notizia attendibile o una ingannevole turlupinatura per distrarre, alleggerire l’attenzione dei cittadini da altre pesanti problematiche, magari quelle del post alluvione: come dire, alla maniera di un celebre cartone animato di Hanna-Barbera, “svicoliamo tutto a mancina” con il fumo negli occhi di un risultato oltre ogni aspettativa, nel campo del turismo cittadino. Dopo 37 anni di residenza in questa città solo ora apprendo di una significativa, emergente vocazione turistica di Forlì: eppure, la città la conosco, la vivo in lungo e largo in sella alla mia gloriosa Atala, ma mai vi ho notato l’evidenza di un flusso turistico marcato, costante nel tempo.
Sì, ci sono turisti, soprattutto in occasione di grandi mostre nel complesso del San Domenico, fra l’altro costantemente sempre meno attrattive, nonostante tanta grancassa promozionale, ma complessivamente si tratta di una presenza annualmente sparuta senza particolari segni nella vita e nell’economia cittadina. Né Forlì è, sinora, polo museale di grande rilevanza: ovunque, il patrimonio e la vocazione museale riflettono l’ampiezza, lo spessore e il valore della storia civile, politica, artistica della città, piccola o grande che sia, e sinceramente, ma pure con molto pragmatico realismo Forlì non è una “città d’arte”, come solitamente nel significato corrente di tale locuzione; non è neppure meta di turismo culturale selezionato perché manca anche di un’attrattiva speciale, unica o di complesso, che possa appositamente portare in città turisti, cultori di particolari interessi.
Forlì non è Mantova, non è Lucca, non è Siena, ma neppure Ravenna, ex capitale dell’Esarcato bizantino d’Italia, oppure Parma o Modena, entrambe a capo di stati preunitari; a differenza di Arezzo, mi fermo a questo esempio, con la sua annuale Giostra del Saracino e con la mensile Fiera dell’Antiquariato nel centro storico, Forlì non ha alcuna attrattiva di rilievo turistico-culturale che, in partenza, valorizzi le sue piazze e strade centrali. Forlì ha avuto una storia di contorno, rarissimamente di primo protagonismo, per questo è stata ed è rimasta un “zitadon”, non me ne vogliamo i forlivesi autoctoni, un tranquillo “cittadone” dove si vive ancora discretamente, ma dove ogni tanto prevale quella mentalità provincialotta che per evadere dal tedio della provincia occorra volare alto nei progetti, addirittura verso il futuribile, dimenticando la realtà ai propri piedi.
Forlì che vola alto su dati incerti di un crescente consenso turistico? Come crederci se poi, l’innovazione turistico-museale si affida ad un’inutile, pericolosa operazione di trasloco dello stesso patrimonio culturale: operazione, fra l’altro, irresponsabile per lo sperpero di fondi che, invece, potrebbero spendersi davvero con intelligenza. Qualcuno ha pure sostenuto che il recente incremento turistico, rilevato a Forlì sia dato, in parte, dalla partecipazione agli eventi di spettacolo, intrattenimento che l’attuale Amministrazione ha saputo organizzare in numero crescente negli ultimi anni. Dunque, turismo “panis et circenses” con grandi ospiti, canzoni, musica, a volte il contorno di tarallucci e vino: in crescita, allora, il cosiddetto “turismo di diletto”, al massimo composto da turisti locali, insomma roba di “ca’ nostra”, non oltre il raggio di 50/70 chilometri di distanza.
Ma perché non riesco a credere che siano veri i dati promettenti sul turismo forlivese, sbandierati in questi giorni? Innanzitutto, perché angosciosamente mi chiedo cosa cazzo mai, oltre alla solita mostra “monstre”, invano emula di analoghe iniziative altrove, possa indurre il turista a venire appositamente a Forlì. Il centro storico perlopiù pittorescamente deserto e vacuo di idee? I tanti negozi chiusi per cessata attività? Il brivido di scontri in diretta tra rissosi extracomunitari fuori controllo, persino a colpi d’accetta? Forse, lo stravaccamento ozioso nel centro storico di tante “risorse” immigrate, magari con la “misbahah”, il rosario mussulmano, in mano, ma ai piedi il brick di Tavernello o bottiglie di birra, pur se non propriamente in linea con la propria religione?
Memore delle parole di Berlusconi sull’affollamento dei ristoranti, spesso sbircio nei nostri locali durante i giorni prefestivi, festivi, soprattutto se concomitanti con la solita mostra “monstre”: in media, una maggioranza di avventori nostrani, tavoli disponibili senza problema, nessuna fila all’esterno, tanto meno camerieri imbonitori in strada, come in tante vere mete turistiche, per allettare con un piatto di anticlericali strozzapreti o fuggevoli tagliatelle sugose oppure ravioli dal ripieno godurioso, tutto sempre in un peccaminoso, carnale ragù al fuoco ardente della Romagna.
Nulla di tutto questo, al massimo un cameriere inoperoso che sbadiglia annoiato sulla soglia del proprio ristorante, alla faccia della tradizione enogastronomica romagnola!
Nei dati diffusi sul turismo romagnolo sento puzza di bruciato, temo si tratti del solito mezzuccio per prendere un respiro e tornare ad amministrare in apnea.
Quasi spererei, a causa di un colpo di sole, nella perdita temporanea di lucidità ed orientamento politico di qualche assessore, incauto perché sempre affetto da infondato protagonismo: per la fretta di apparire e rinverdire la memoria altrui della sua figura ha preso al volo i dati turistici, ne ha colto il segno + e, senza un’analisi attenta, una comparazione con i risultati degli anni precedenti, ha sparato una gran corbelleria.
Sono micidiali i colpi di sole, solitamente fanno vedere zebre a pois, eccezionalmente possono trasformare le loro vittime in somari che volano.
Franco D’Emilio