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No all’alluvionato ‘abolimento’ degli scritti di maturità in Romagna
Assolutamente no, sono contrario all’iniziativa di togliere gli scritti dagli esami di maturità e di terza media inferiore nelle zone alluvionate, riducendo così la prova solo ad un orale, al quale, fra l’altro, poter accedere a prescindere dalla frequenza minima di 200 giorni di presenza e dall’esito delle cosiddette prove Invalsi. Si crea un’evidente disparità tra tutti i giovani cittadini italiani, solitamente chiamati a dimostrare concretamente e universalmente quel bagaglio culturale, umano di maturità, utile per avviarsi ad una professione o a successivi studi universitari.
Certo, c’è il precedente della pandemia Covid, ma, in quel caso, il provvedimento di “alleggerimento e snellimento” della maturità si applicò all’intero studentato maturando, lieti i giovani e rassegnati gli insegnanti che potesse e dovesse avverarsi come “mal comune mezzo gaudio”. Ora, no! I maturandi alluvionati della Romagna usufruirebbero di un beneficio, solo a loro riservato, pur se comprensibilmente giustificato, che risulterebbe contrario a quella omogeneità di verifica della conoscenza e dell’insegnamento che deve caratterizzare il complessivo valore di un sistema scolastico.
Fra l’altro, tale privilegio riduttivo delle prove di maturità dei giovani romagnoli alluvionati costituirebbe motivo di ricorso in sede di giustizia amministrativa da parte di quanti, giustamente, riconoscessero lesa la parità dei propri diritti e doveri scolastici. Le prove dell’esame di maturità devono essere uguali per tutti, proprio per il principio che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art. 3 Costituzione Italiana), dove richiamo l’attenzione sull’attualità di quel “…di condizioni personali e sociali”.
Sicuramente, l’alluvione in Romagna solleva particolari situazioni di difficoltà individuale e collettiva, quindi pregiudizievoli della comune condizione personale e sociale, ma tale stato di cose non può discriminare tra studenti “ordinari” e studenti “alluvionati”. La più lieve maturità della Romagna alluvionata sarebbe una grave sconfitta del mondo della scuola, una sorta di resa ad uno stato di necessità che tacita ogni valutazione imparziale, universale, soprattutto equa per tutti del merito e della personale, complessiva maturità formativa. Già la scuola italiana vive da anni gravi difficoltà organizzative e gestionali, con un corpo insegnanti, sempre più tormentato nella sua piena autorevolezza e competenza da una pletora di regolamenti e rappresentanze genitoriali, spesso solo vessatori e interdittivi: vogliamo ancora di più offenderla con un provvedimento, ad hoc e a privilegio di pochi, di maturità light?
Stamani, nella cronaca locale del Resto del Carlino, proprio in riferimento a tale esame di maturità particolare nella Romagna alluvionata, una giornalista scrive di “abolimento”, creando un neologismo, insomma una parola nuova, inesistente sino ad ora. Tutti conosciamo il vocabolo “abolizione” dal latino abolere, già ampiamente usato da Francesco Guicciardini nella prima metà del 1500; il termine “abolimento” figura solo con l’adozione del suffisso “mento”, aggiunto alla radice dello stesso verbo nel passaggio dal tardo latino medioevale al gruppo delle lingue gallo-iberiche, come il portoghese, nel cui vocabolario figura., appunto, il termine “abolimento”.
Dunque, per carità, abolizione e non abolimento, non infieriamo sull’italiano con svarioni lessicali alla faccia, magari, di trascorse e non piene maturità personali.
Il grande Eduardo De Filippo scriveva come “Gli esami non finiscono mai”, conclusione alla quale lo scrittore Roberto Gervaso aggiungeva l’amara considerazione “ma non finiscono mai nemmeno le raccomandazioni”: nel mio piccolo la postilla “metti il caso di un’alluvione, perché non farne pretesto di maturità bagnata, maturità fortunata”?
Franco D’Emilio