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Quel rosario tra le mani nell’alluvione di Forlì

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Posso considerarmi davvero miracolato, la tragedia dell’alluvione mi ha sfiorato, ma risparmiato, nessun pericolo, nessun danno. Eppure, basta percorrere poca distanza da casa mia per avere sottocchio la rovina fangosa, devastante di una drammatica alluvione senza precedenti nella storia di Forlì e tutta la Romagna. Uscire illeso da questa sventura mi fa sentire in debito, quasi in imbarazzo col prossimo forlivese che soffre e piange, mani e gambe nell’ignoto del fango; cerco di essere di aiuto in qualunque modo, anche con raccolta di danaro, vestiti, farmaci o la spesa a chi davvero senza più nemmeno gli occhi per piangere.

Per la seconda volta nella mia vita conosco la disperazione di un’alluvione incontenibile che tutto travolge e violenta: la prima volta ai primi di novembre del 1966, studente ancora imberbe di quarta ginnasio, tanto futuro dinanzi, ma costretto a fare i conti con l’alluvione di Firenze per la furia dell’Arno; ora, a Forlì, ormai barboso anziano, un grande avvenire dietro le spalle, per dirla alla Vittorio Gassman, nell’ospitale città, da tempo mia terra d’adozione.

Un salto di oltre mezzo secolo, dalla giovinezza incosciente alla senilità saggia, almeno mi auguro tale, ma con una beffa odierna: l’alluvione fiorentina giunse a novembre, pur sempre mese di pioggia e maltempo, questa, adesso, in Romagna, invece, quasi alle porte dell’estate, quando già si pregusta chiusura della scuola, vacanze, una meritata sosta dal lavoro. Tutto questo per colpa dell’uomo che devasta, trascura il territorio, inquina e muta il clima, noncurante dei figli, nipoti, di quanti ancora seguiranno.

Ieri, mi sono avventurato in un giro ricognitivo di alcuni luoghi di Forlì, particolarmente colpiti dalle acque straripate; esperienza terribile, angosciante, come nella Firenze del’66.
Lo stesso nodo alla gola, lo stesso sgomento di tanta inconsistente e spocchiosa certezza umana, l’incapacità di capire da dove e come ripartire, un viaggio, pur breve, nella disperata sopravvivenza altrui. Alcuni miei amici hanno perso tutto, dalla casa ai ricordi più cari, all’inseparabile cagnolino, rapinati della loro intimità familiare, culturale, della loro stessa socialità. Povera, cara Forlì!

Eppure, tanti i forlivesi a darsi da fare, a svuotare acqua, a sgombrare, spesso in un silenzio irreale, solo interrotto dai motori cupi delle ruspe, da qualche ululato sinistro, pur se soccorritore, di ambulanze o dai rotori assordanti di elicotteri in volo. Tra Porta Schiavonia e via Firenze mi sono ritrovato in una scena desolante, avvicinandomi ad un gruppo di persone nel fango.

Poi, alla mia sinistra, poco distante da una carriola, una donna in piedi, non più di 45-50 anni, una ciocca di capelli e fango su una tempia, che stringeva e scorreva nella mano destra un rosario di grani rosa; non un moto delle labbra, gli occhi fissi e dolorosi su un uscio sventrato, forse della sua casa, solo lacrime silenziose, inesorabili e copiose, sul viso.
Per rispetto a tanto dolore mi sono allontanato, continuando a fissare quella protagonista di tanta tragedia, che ad un certo punto ha ripreso a lavorare di pala, dopo aver riposto il rosario nella tasca posteriore dei jeans, la croce, però, rimasta fuori, oscillante con la lena del lavoro della donna.

Ecco, la devozione di quel rosario mi è parso un gran messaggio di speranza; quella croce penzolante il segno di una resurrezione sempre possibile, pure da un’alluvione tanto distruttiva. È un giorno, ormai: nel cuore, nei miei pensieri l’immagine di quella donna e della sua sofferenza, quasi un richiamo alla mente di Nilo Vivarelli, a Firenze noto macellaro, così in vernacolo toscano il macellaio, che, quando ebbe finito, pure sacramentando, di pulire dal fango d’Arno la sua macelleria, la parete di fondo dominata da una grande maglietta viola, gigliata della Fiorentina, si sedette su una seggiola e nel fumo azzurrino di mezzo sigaro esclamò “Ora si ricomincia a ragionare!”.

Mi auguro che la battuta di Nilo, da tempo volato a far compagnia a Miguel Montuori, mitico centravanti della Fiorentina dal ’56 al ’61, possa presto valere per la nostra Forlì, per quella stessa signora in lacrime. Forlì ricomincerà a ragionare, quindi a costruire concretamente la sua speranza di nuova vita, quella speranza importante per tutti, ancora di più per i nostri giovani, magari rapiti da un bacio improvviso di reciproco sostegno nell’avversità della vita.
Per questo, qui, la foto di un bacio nel fango, altrettanto pari allo splendido dipinto Il Bacio di Francesco Hayez.

Franco D’Emilio