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“Ho rimasto” la Romagna dell’alluvione

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Ultimo aggiornamento:

Stamani, su Facebook il noto tenore forlivese Maurizio Tassani ha scritto: – Mai come oggi “ho rimasto” è la frase più bella del mondo. –
Una battuta lapidaria, immediato ed efficace richiamo alla romagnolità, al sangue romagnolo, anche di memoria deamicisiana, insomma la sferzata di una nota alta, pari a quelle nelle corde vocali e nel cuore del nostro amico Maurizio, soprattutto un incitamento a tutti in questo dramma dell’alluvione. “Ho rimasto” è perla della parlata romagnola e in questo strafalcione della lingua italiana c’è tutto il carattere, la tempra del romagnolo.

“Ho rimasto” è un madornale errore grammaticale, da mani nei capelli per maestri e professori: rimanere è verbo intransitivo che richiede sempre e soltanto il verbo ausiliare essere, dunque “sono rimasto, mai ho rimasto”. Eppure, in questo svarione c’è tutta la Romagna con la sua gente, ancora di più ora nell’implacabile disastro di questi giorni. Se ci pensiamo, tra dire “sono rimasto” e “ho rimasto” corre una bella differenza che la dice tutta sulla capacità di reagire delle persone. Nel caso di “sono rimasto” si ha l’idea di una prostrata soggezione agli eventi, pari al dire toscano “rimanere come un bischero”; invece, “ho rimasto” manifesta la capacità reattiva di ripartire, sollevarsi subito dalla rovina, anche con quel poco in salvo da tanta sventura.

Nella sua storia la Romagna ha sempre rimasto qualcosa da cui riprendere il cammino, magari interrotto da una guerra, una sciagura, un terremoto; la sua gente si rimbocca le maniche, pur se ridotta in braghe di tela o, peggio ancora, nella disperata conclusione “Aio’ armast sol due maron!” I romagnoli ripartono anche solo da quest’ultimi. Ma chi sono questi romagnoli che hanno rimasto quanto basta per ricominciare dopo la batosta di una maligna alluvione sulle loro case, sul loro lavoro, sulla loro vita?

Sono tanti, uomini e donne, tutti uniti e compresi nelle parole di Maurizio Tassani, anch’egli romagnolo schietto come un sorso di sangiovese, che bene ha saputo, fra l’altro, risollevarsi da un male temibile, sino a scoprire una nuova professione, quella artistica di grande voce tenorile. Un romagnolo che ha rimasto è quell’agricoltore ravennate che, messa in salvo la sua famiglia, ha tirato fuori dalla sua rimessa, lì l’aveva, appunto, rimasta, un’improbabile barca con la quale ha preso a navigare campi, frutteti e vigneti per soccorrere quanti bloccati nelle vicine case contadine, insomma una sorta di Caronte traghettatore dall’acqua melmosa alla salvezza.

Ha rimasto tanto la donna anziana, stanca, ma ancora sorridente tra le sue splendide rughe di “azdora”, che, appena scesa da un gommone di soccorso, ha accarezzato i due giovani soccorritori, indicandoli ad un giornalista con un amorevole, pure rassicurante “Sono bravi, sa.”: ecco la disponibile bravura giovanile come punto da cui riprendere.
Ha rimasto, e non è poco, il giovanotto che si priva del telo isotermico di soccorso, la cosiddetta metallina, per coprire di più la moglie e la figlioletta con due treccine, una sola ancora con il fiocco a pois; “Dai, su!” e spedito si allontana veloce, quasi non debba perdere tempo, bisogna presto rimettere pure il fiocco perduto.

Hanno rimasto tanto una donna e il suo vicino di casa: la prima, immersa nell’acqua con il suo bambino in braccio, quanto di più prezioso per una madre, grida disperata “Salvate mio figlio!”; l’altro subito si tuffa e porta in salvo il piccolo, mentre qualcun altro soccorre la madre, ormai stremata. Pare che la madre abbia fatto credere al figlioletto, per non impaurirlo, di un gioco assieme nell’acqua, lui stretto alla testa di mamma, unica boa nel pericolo: una storia che richiama La vita è bella, film di Roberto Benigni, dove il protagonista Guido racconta bugie al figlioletto Giuosè per proteggerlo dall’orrore del campo di concentramento.

Hanno rimasto tanto i numerosi giovani, quelli del rap, monopattino, cellulare e playstation, immediatamente accorsi a dare una mano, a spalare fango, appena la sosta per mordere una piadina tra le dita infangate, magari improvvisare senza musica, solo col cuore, una scanzonata Romagna mia, certamente in Paradiso motivo di commozione anche per Secondo e Raoul Casadei. Infine, ha rimasto tanto il romagnolo, piantato in mezzo all’acqua, stivaloni sino all’inguine, volto e mani grosse di chi lavora sodo, che ad un giornalista le dice tutte, a muso duro e senza peli, quelle, a suo parere, colpe della politica, della cattiva amministrazione per tanto disastro.

Non parla a vanvera, implacabile motiva le sue parole e guarda fisso nelle palle degli occhi altrui, compreso quello della telecamera. Colpisce quando dice “Mi è andata meglio di tanti altri, ma non ci sto a star zitto!” Eccola, è la Romagna della solidarietà, della passione politica, delle idee ardenti come brace sotto la cenere, dell’incapacità di volgere altrove lo sguardo per non vedere e consolarsi che a noi sia andata bene. Mi auguro che “Ho rimasto”, con tanto slancio segnalatoci da Maurizio Tassani, resti espressione del dire romagnolo, soprattutto delle donne.

La vita e la speranza, valori così preziosi in questo terribile frangente di morte, sofferenza dell’alluvione, sono termini femminili: non a caso, se pensiamo quanto le donne siano uniche protagoniste e custodi di una importante potenzialità dell’esistenza umana, la sua continuità. Per questo mi congedo con la bella foto di Silvia Camporesi: due giovani donne romagnole nel fango, mai così belle, generosamente stupende e splendidamente uniche.

Franco D’Emilio