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La Resistenza prigioniera di se stessa nel segno di Faccetta Nera

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Certo, comprendo lo scorno, l’amarezza di tanti partigiani nostalgici che mai avrebbero immaginato di ritrovarsi, oggi, punto e a capo. Una bella beffa che davvero li umilia: nella ricorrenza del 78° anniversario costretti a festeggiare la Festa della Liberazione dal Fascismo mentre al governo c’è davvero la destra, quella veramente doc e a tutto tondo, sopravvissuta, ma pure progredita dal 25 Aprile 1945 in poi, nonostante il lungo deserto politico dell’emarginazione e dell’odio, impostole dal vincitore partigiano. Nessuno sia ipocrita o strumentalmente tattico, mi riferisco a Fratelli d’Italia, destra maggioritaria al governo, negando e rassicurando che non vi sia alcun legame di continuità storica, ideale nel percorso MSI-Alleanza Nazionale-Fratelli d’Italia.

Non si neghi l’evidenza e per onestà intellettuale, morale nessuno se ne vergogni, posso solo concordare che tale continuità storica, al pari di quanto avviene in altri partiti, destra o sinistra che siano, si pone, magari, principalmente per le generazioni più anziane o per aree limitate di iscritti ed elettori. La destra odierna di Fratelli d’Italia deve, anche se solo in parte, riconoscersi ed essere riconosciuta da tutti, avversari compresi, come esperienza continuativa più che nostalgica del Fascismo: continuativa, ad esempio, nell’attenzione ai problemi del lavoro e dell’istruzione, del welfare e delle opere pubbliche, della promozione e tutela della cultura, della capacità progettuale del futuro, insomma di tutti quei campi nei quali, piaccia o no, il Fascismo fu innovativo.

Quindi, continuità storica sul filo dell’innovazione, rigettando, invece, le gravi colpe del Ventennio: l’opzione di una permanente, crescente svolta autoritaria, dittatoriale, fortemente repressiva di ogni dissenso; l’inutilità delle guerre, dell’alleanza con il nazismo, delle leggi razziali. La continuità è concretezza storica, un valore in questo caso confermato dall’attualità, ancora corrente, di talune tematiche sociali, politiche ed economiche del Fascismo; la nostalgia del Ventennio, al contrario, è solo un vago stato d’animo, il desiderio ideologico-politico superficiale, quindi irriflessivo ed umorale, di un periodo storico, considerato senza obiettività. Dal Fascismo ad oggi la destra radicale si è evoluta, liberata dalle ombre e colpe del suo passato senza, però, rinnegarne spunti di novità e modernità, configurandosi, così e sempre più, come nuova destra contemporanea, liberale nei suoi valori e conservatrice nei suoi tratti.

Diversamente, il problema della continuità e quello della nostalgia si pongono, invece, per la Resistenza, il movimento partigiano, quindi i partiti che animarono l’una e l’altro.  Innanzitutto, la continuità della Resistenza, viva e imperitura, è sempre più labile perché priva di odierni suoi protagonisti di sicuro riferimento, tanto vasta è stata la dissoluzione o la mutazione, particolarmente nei valori ideologici e politici, di quanti animarono l’opposizione al Fascismo: penso alla DC e al PCI, al PSI e al PRI, al PLI, tutti inesorabilmente scomparsi o fagocitati in nuove forze post-ideologiche, quali Forza Italia, oppure in raccogliticci e, spesso, equivoci accorpamenti, come il Partito Democratico o talune sfortunate, minime sigle del fronte ecologista-sinistra radicale. La verità storica, il volto politico, la stessa celebrazione istituzionale della Liberazione sono stati, sono e saranno, via via, sempre più modulati quale motivo di rinnovato auspicio per la nostra libertà e la nostra democrazia, intese come beni comuni, ampiamente condivisi, da destra a sinistra, dunque fuori dal solito schema di discriminazione del vecchio antifascismo partigiano, fazioso e intollerante.

La nostalgia della Resistenza ha subito, invece, una duplice sorte: o ridotta, persa perché trita e logora oppure vissuta ancora caparbiamente da chi, tuttora, amaramente persuaso che il movimento partigiano o buona parte di esso potesse essere qualcosa che, purtroppo, invece, non è stato, per fortuna, aggiungerei, della nostra libertà e democrazia. Penso alla frazione partigiana comunista e parte di quella socialista che vedeva nella Resistenza al Fascismo un anticipo della rivoluzione contro il capitalismo, quindi per una democrazia popolare e socialista. Penso, ancora, a parte di questa stessa frazione partigiana, delusa dalla mancata finalità rivoluzionarla della Liberazione sino al punto da alimentare, anni dopo, il pericoloso mito della “Resistenza tradita”, addirittura motivo ispiratore del terrorismo delle Brigate Rosse.

Oggi, le celebrazioni partigiane, insomma quelle dell’ANPI, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, sono pateticamente nostalgiche, poco attuali nella loro scenografia tanto retorica e, ormai, museale, ma, ancora di più, nelle loro parole tanto divisive, cariche di livore antifascista, pur in assenza, fra l’altro, di un reale nemico fascista. Oggi, le celebrazioni partigiane, ispirate ad un anacronistico, bieco e becero antifascismo, non hanno alcuna attuale continuità coi valori dei tempi che viviamo; un’ampia maggioranza di elettori ha sconfitto pesantemente il quadro politico di riferimento dell’ANPI, dunque, oggi, consapevoli del passato, possiamo e dobbiamo tutti festeggiare la Liberazione come rinnovato impegno, comune e parimenti condiviso, per la libertà da ogni possibile autoritarismo e dittatura.

È vero che l’Assemblea Costituente nella stesura della Costituzione accolse i valori dell’antifascismo, ma non in modo esclusivo, anzi li fece convivere, cito, ad esempio, gli artt. 41, 42, 44, 47 del Titolo III della P.te Prima, con quanto risultato dalla precedente legislazione del Ventennio sul tema dei rapporti economici e del risparmio: da qui, la bufala dell’infondata esclusiva genesi della Costituzione dai principi della Resistenza e dell’antifascismo. La Resistenza, l’ANPI sono sempre più prigionieri di se stessi e dei loro vetusti custodi, nuove leve partigiane possono, forse, auspicarsi solo da terre lontane, magari, ironia della storia, nel segno di un imprevisto ritorno a Faccetta Nera.

Franco D’Emilio