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Morto un papa se ne fa un altro?

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Morto un papa, se ne fa un altro: solitamente le cose vanno così, ma stavolta è andata diversamente, nemmeno tutta la briga di convocare il conclave da ogni angolo della terra perché di papi ne avevamo due e, per nostra fortuna, quello superstite, insomma già disponibile, era persino il pontefice titolare ovvero quello effettivamente in carica con pieni poteri sul governo della Chiesa.

Da una parte, infatti, è scomparso Papa Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, dal 28 febbraio 2013 rinunciatario della successione a S. Pietro, quindi ottavo pontefice, protagonista di un gran rifiuto di memoria dantesca, seppure, poi, rimasto nel ruolo di pontefice emerito, solo dedito ai suoi studi teologici; dall’altra, è rimasto in carica, proprio perché unico titolare riconosciuto in tale ruolo, Papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, dal 13 marzo 2013 innalzato dal conclave al soglio petrino.
Adesso, però, sembra che pure quest’ultimo, in caso di suo impedimento, sia pronto, anzi abbia già lasciato disposizione scritta per dimettersi dal suo sommo incarico, quindi più o meno sulle stesse orme di Benedetto XVI.

Ho l’impressione, forse anche il timore, neppure tanto vago, che l’avvicendamento sul soglio pontificio rischi di essere equiparato ad una semplice pratica di burocrazia ecclesiastica, simile all’avvicendamento dei parroci, dunque fuori dalla finalità eccelsa, altamente simbolica, ma pure fattiva, del Vicariato di Cristo.
Comprendo che possa ammettersi un impedimento straordinario o, comunque, contrario all’esercizio del ruolo di pontefice, in fondo, persino, l’intransigente Pio XII aveva pensato a sue dimissioni nel caso fosse finito ostaggio dei nazisti, ma ora mi chiedo se sotto il profilo dottrinale possa consentirsi tanto sovente ricorso alle dimissioni pontificie con la conseguenza di un nuovo duplice Vicariato di Cristo in terra.

Confesso che, come cattolico, credo che un pontefice debba ricoprire il suo ruolo sino alla fine della sua esistenza, offrendo ai fedeli nel mondo la certezza di un riferimento unico, fermo nella sua identità e nei suoi valori.
La convivenza tra Papa Francesco, titolare effettivo della cattedra di San Pietro, e Papa Benedetto XVI, pontefice emerito, l’ ho percepita, in realtà, come l’affidamento della Chiesa alla guida di due piloti, uno in prima e l’altro in seconda, sempre vicini e complementari tra loro e tutto per la finalità di far convivere tra loro la chiesa più progressista con quella più conservatrice, legata alla tradizione. Non esito neppure a dire che la trascorsa convivenza di due papi mi è parsa soltanto una sorta di cerchiobottismo infruttuoso della Chiesa sul duplice fronte delle sue posizioni: mi chiedo, soprattutto, quanto tale convivenza abbia giovato alla religiosità, spiritualità del mondo cattolico.

Franco D’Emilio