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Alessandro Fortis in gioventù ardente repubblicano e garibaldino

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Ultimo aggiornamento:

Siamo in tempo di elezioni anticipate e ci troviamo in mezzo ad un quotidiano turbinio di notizie su candidature, collegi sicuri o contendibili, alleanze e cambi di alleanze (e pure cambi di casacca politica). In questo clima elettorale non è stonato ricordare una figura forlivese illustre della storia italiana, un poco dimenticata, frutto forse della “damnatio memoriae” inflittagli dai suoi vecchi compagni di militanza. Semplificando molto, l’accusa che gli fu rivolta nel periodo della sua maturità politica fu quella di essere partito incendiario e di essere poi diventato pompiere (e quindi voltagabbana). Parliamo di Alessandro Fortis, uno dei protagonisti della vita politica nazionale postunitaria, in gioventù ardente garibaldino e mazziniano e, successivamente, passato a posizioni moderate e filomonarchiche.

Di origine ebraica, era nato a Forlì nel 1841, ma, presto orfano del padre, fu affidato ad uno zio, ricevendo una educazione di prim’ordine al Collegio dei Padri Scolopi di Siena e poi al Liceo S. Apollinare di Roma. Nel 1859, anno cruciale del Risorgimento, scoprì la passione politica, attirando su di sè subito le attenzioni della giustizia papalina, ma fu la frequentazione dell’Università di Pisa dove si laureò in legge che comportò il suo definitivo passaggio in politica nel radicalismo mazziniano. Volontario inizialmente nel 1860 nelle file dei Cacciatori delle Marche, in seguito fu con Garibaldi prima in Trentino nel 1866, poi nel tentativo di presa di Roma conclusosi con il disastro di Mentana nel 1867 nel quale perse la vita il cugino Achille Cantoni. Alessandro seguì l’Eroe dei Due Mondi anche in Francia sui Vosgi nella campagna durante la guerra franco prussiana del 1870-1871.

Massone, anticlericale, repubblicano, questo era Fortis in quegli anni, tanto da essere tra gli arrestati di Villa Ruffi nel Riminese, assieme a Saffi ed altri, con l’accusa di complotto antimonarchico poi dimostratasi insussistente. Assessore comunale a Forlì, brillante avvocato, con una posizione economica di tutto rispetto, il nostro gradualmente aveva acquisito una posizione forte nel panorama locale, ma già emergeva in lui una tendenza alla mediazione e al pragmatismo coerente alla sua visione che ormai il processo nazionale era concluso ed era ora di governare l’Italia senza tensioni ed estremismi. È evidente che ciò lo avrebbe progressivamente ed ineluttabilmente allontanato dai suoi primi compagni di militanza. Dopo una prima sconfitta elettorale nel 1876, nel 1880 Fortis fu eletto nel collegio forlivese alla Camera e qui si accostò gradualmente a Francesco Crispi, l’uomo forte dell’ Italia di allora, filomonarchico “traditore” degli ideali garibaldini e mazziniani.

Il forlivese aveva ormai scelto la parte dove fare politica, tanto da organizzare la visita di Umberto I a Forlì, in una terra dove i re non erano davvero popolari; nel 1888 il suo primo passo ministeriale con la nomina a sottosegretario agli Interni e, nonostante il calo di popolarità nel Forlivese, fu nuovamente eletto alla Camera nel 1890. Ma l’opposizione nei suoi confronti crebbe a tal punto che nel 1893 per essere rieletto dovette candidarsi a Poggio Mirteto nel Lazio. Per Fortis ormai a Forlì l’aria era pesante, per i sostenitori dei cosiddetti partiti popolari era un traditore e correva rischi per la sua vita, addirittura la sua casa fu incendiata. Come succede a tanti politici, anche Fortis nella sua carriera inciampò in questioni di banche; infatti non gli giovarono politicamente i rapporti, peraltro di natura professionali, avuti con Bernardino Tanlongo, protagonista dello scandalo della Banca Romana, né il fallimento della Banca Popolare di Forlì, governata da uomini di sua fiducia.

Pur con qualche fatica Fortis ne venne fuori e la caduta di Crispi di cui era fedelissimo dopo il disastro coloniale di Adua del 1896 non incise più di tanto e così nel 1898 fu nominato ministro dell’Agricoltura nel ministero Pelloux. Intanto cominciava ad affermarsi con decisione la figura politica di Giolitti e il nostro, con ottimo senso della posizione, cominciò ad avvicinarsi al politico piemontese. Proprio con la protezione di Giolitti, dopo un primo incarico abortito, a marzo del 1905 Fortis formò il suo primo governo con un programma che prevedeva la nazionalizzazione della rete ferroviaria, un progetto che non poteva dispiacere a chi rappresentava gli interessi delle classi popolari. D’altronde Fortis era abituato a mediazioni “spericolate” come quando cercò di allacciare rapporti anche con i cattolici, indispettendo non poco la massoneria. Logoratasi la sua maggioranza governativa, il politico forlivese, con un nuovo incarico a fine dicembre del 1905, formava un nuovo governo che però finiva sfiduciato il 2 febbraio 1906, sotto gli attacchi di Sidney Sonnino, compagno di militanza di Fortis ai tempi dell’ Università di Pisa.

Il ruolo di protagonista di Alessandro si esaurì con questo atto, anche se rimase in parlamento a sostenere le posizioni del suo nuovo riferimento politico, Giolitti. Morì nella sua casa romana ai primi di dicembre del 1909 consumato da una infezione alle vie urinarie, assistito dalla figlia Maria che aveva sposato un figlio di Aurelio Saffi. Una lapide posta sulla facciata della abitazione di Fortis nella centrale via della Gatta vicino a piazza del Collegio Romano rende onore a questo politico forlivese, ai suoi tempi al centro di feroci giudizi, almeno dei suoi ex compagni. Certamente merita di essere ricordato al pari di altri capi di governo espressi da questa terra, come, Benito Mussolini, il controverso figlio del fabbro di Predappio o Adone Zoli, senatore democristiano a fine anni Cinquanta a capo di un governo da lui definito con la strana formula di “minoranza precostituita”.

Paolo Poponessi