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L’allarme di Confagricoltura: “Gli agricoltori non sono un bancomat”

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Ci hanno scambiato per un bancomat: prima lo Stato ci spinge a investire nell’energia rinnovabile e ora, in un contesto di grandissima difficoltà per l’intero settore, ci comunica che dobbiamo pagare una tassa sugli extra-profitti generati dagli impianti fotovoltaici. Cambiare le regole del gioco a metà della partita, dalla mattina alla sera, non è molto corretto”. Oltre al danno anche la beffa. È questo il sentimento di Giovanni Romanini, imprenditore di Predappio che conduce allevamenti avicoli e cunicoli. Un sentimento comune a molti altri agricoltori dopo che il governo italiano ha deciso di tassare i guadagni extra delle aziende che in passato avevano investito nell’energia rinnovabile, contribuendo così in maniera importante alla produzione dell’elettricità Made in Italy. Tra le aziende colpite ci sono anche quelle in mano ai piccoli agricoltori che non fanno però dell’energia rinnovabile il loro core business ma una diversificazione della loro attività.

Purtroppo questo non è un periodo facile per chi lavora nel settore agricolo – commenta con amarezza Alberto Mazzoni vicepresidente di Confagricoltura Forlì-Cesena e Rimini nonché vicepresidente Federazione Nazionale di Prodotto bioeconomie di Confagricoltura -. L’aumento del costo delle materie prime, la siccità e infine la scarsa disponibilità di manodopera sono problemi che ci stanno mettendo a dura prova. Mai avremmo pensato che lo Stato potesse infliggerci anche questo colpo che, in molti casi, potrebbe risultare letale per le aziende coinvolte”.

Entrando nello specifico, a cambiare le carte in tavola è stata la Legge 25/2022 che, convertendo il decreto-legge 4/2022, ha di fatto sancito agli imprenditori agricoli che producono energia l’obbligo di versare una differenza tra il prezzo di vendita e quello di riferimento. L’agricoltore che ha impianti fotovoltaici di potenza superiore a 20 kW dovrà ricevere dal GSE (Gestore Servizi Elettrici) per la vendita di energia un prezzo massimo pari alla media degli ultimi 10 anni fino al 31 dicembre 2020, ovvero 58 euro/mvh. Ma il mercato nei mesi scorsi ha ecceduto questo valore e così ora le imprese si trovano a dover restituire una parte di quanto percepito.

Un esempio significativo è di un impianto situato tra il Cesenate e il Riminese che, a fronte di una produzione di 107.000 kWh nei primi cinque mesi dell’anno, ha venduto energia a valori di mercato per 25.775,55 euro. Ma la nuova normativa fissa per l’impresa un compenso pari 8.254,37 euro con un prelievo pertanto equivalente al 60% dei ricavi contro il 25% per la produzione di energia dai sistemi tradizionali.

Doveva essere la svolta green italiana, soprattutto considerando lo scenario nato con la guerra in Ucraina, ma lo sforzo, anche economico, che gli agricoltori hanno fatto per garantire una autoproduzione energetica si sta trasformando in un boomerang che rischia di colpire duramente molti imprenditori agricoli che, già adesso, faticano a sbarcare il lunario – continua Mazzoni -. Fino ad oggi la vendita dell’energia elettrica aveva garantito loro di assorbire i costi sempre più alti per produrre il cibo. A novembre, quando saranno costretti a pagare questo conguaglio allo Stato, il forte rischio è quello di indebitarsi per non dover dichiarare il fallimento e nuovamente dovremmo affermare come l’energia rinnovabile tanto pubblicizzata sia ancora una volta energia sacrificabile”.

Inutile dire come l’amarezza sia tanta tra gli agricoltori che a suo tempo avevano sposato gli incentivi statali. “Definirsi demoralizzati è dir poco – afferma Enrico Prugnoli, imprenditore vitivinicolo e cerealicolo in provincia di Forlì –. Purtroppo non se non si fanno investimenti non è possibile andare avanti. Ma se alla fine è lo stesso Stato che ti penalizza invece di aiutarti si fa fatica ad andare avanti”.