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Il 4 luglio 1359 quando Forlì cadde in mano dell’esercito papale

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Se questa estate ci siamo rassegnati alle alte temperature anche nell’estate del 1359 faceva caldo assai, ma piuttosto sul piano politico e militare. Infatti era arrivato all’epilogo la contesa pluriennale tra papato e Francesco Ordelaffi, signore di Forlì e di territori vicini. L’esito fu favorevole al papa grazie allo lo spagnolo Egidio Albornoz, cardinale abile nella spada e nella diplomazia. Il prelato, fu incaricato dal papa, a metà del XIV secolo residente ad Avignone, di riportare nell’orbita pontificia l’Italia centrosettentrionale nella quale imperversavano i nemici ghibellini. Dopo un aspro confronto diplomatico e militare, alla fine la vinse proprio il cardinale spagnolo e Francesco Ordelaffi fu anche lui tra gli sconfitti.

Così il 4 luglio 1359 il vittorioso prelato entrava in Forlì mentre, con il favore delle tenebre, la notte precedente si era allontanato dalla città il grande sconfitto, l’Ordelaffi, per almeno trent’anni il nemico numero uno del potere papale in Romagna e dintorni. Irriducibile oppositore delle pretese temporali del papato, se ne è diffusa in tempi a noi vicini una immagine antistorica e viziata ideologicamente di precursore dell’ anticlericalismo tra Ottocento e Novecento. In realtà Francesco fu uomo profondamente del suo tempo, un’epoca dove nelle vecchie strutture di potere comunali cresceva rigogliosa la pianta della signoria e, nello specifico di Forlì, la famiglia degli Ordelaffi era ormai diventata la dominatrice della città a dispetto di legati e governatori del papa.

Francesco, nato probabilmente verso il 1310-1315, era succeduto nel 1331 alla morte dello zio Cecco nel ruolo di leader di Forlì; spregiudicato, gran guerriero, spietato e feroce con gli avversari ma amato dal popolo che cercò sempre di tenersi buono, estese con la forza delle armi e con il gioco delle alleanze l’influenza degli Ordelaffi a un territorio che andava dall’Appennino a Cesena, sempre in guerra con la Chiesa e con i suoi sostenitori guelfi. Con il papa fu una lotta senza esclusione di colpi tanto che, accusato di pratiche magiche ed eresia, contro di lui fu bandita nel 1355 addirittura una crociata con un esercito di circa dodicimila uomini che invase il Forlivese; in questa occasione non smentì la sua proverbiale crudeltà se è vero che Francesco ad alcuni crociati catturati fece marchiare a fuoco i piedi con la croce.

Collezionò in vita varie scomuniche che non lo intimorirono; in una occasione per scherno fece bruciare pubblicamente dei fantocci impagliati che rappresentavano il papa e i cardinali ma in un’altra fu davvero crudele e sanguinario. A Forlì, infatti, la conseguenza di una nuova a scomunica dell’Ordelaffi fu che la stessa città era stata colpito dall’interdetto, una sorta di isolamento politico, economico e religioso ordinato dal papa. Allora, per fedeltà al pontefice, un gruppo di sacerdoti, di fronte alla richiesta di Francesco che si celebrasse messa, oppose un netto rifiuto e, come reazione, l’Ordelaffi, furente per il rifiuto, ne fece impiccare alcuni ed altri li fece scorticare.

Andò un po’ meglio all’arcivescovo di Ravenna, colpevole di avere sottratto agli Ordelaffi il castello di Oriolo: catturato da Francesco, il povero prelato fu esposto al pubblico dileggio, costretto, legato e seminudo, a cavalcare un ronzino.
Il caratteraccio di questo signore della Forlì del XIV secolo parrebbe confermato, ma non è del tutto certo, dal fatto che, in un attacco d’ira, uccise a coltellate il figlio Ludovico, colpevole di averlo esortato, dopo anni di guerra, a cercare un accordo con il papa.
L’Ordelaffi, comunque, non si limitò a giocare la sua partita a livello locale ma, ambiziosamente, cercò di inserirsi nello scacchiere diplomatico, intavolando relazioni con i potenti dell’epoca come Venezia, i Visconti di Milano o i Gonzaga. Alla fine gli andò male, forse perché, alla fine, dovette fare i conti con un osso duro come l’Albornoz.

Le cose volsero al peggio con la resa di Cesena, difesa strenuamente dalla moglie di Francesco, Cia degli Ubaldini, che, quanto a coraggio e carattere, era pari al marito. Poi le forze papali e gli alleati investirono il resto del territorio e, quindi, cadde anche Forlì. Francesco ancora cercò di dare del filo da torcere al papa asserragliandosi a Forlimpopoli che pagò caro l’essere la base dell’Ordelaffi visto che l’Albornoz, dopo avere rischiato la vita (un proiettile lanciato dagli spalti forlimpopolesi gli ammazzò il cavallo di sotto), rase al suolo la cittadina nel 1361, spargendo sale sulle sue rovine fumanti. Sperando in una rivincita, Francesco continuò a fare ciò per cui era portato cioè il mestiere delle armi, fino a che, capitano generale delle milizie veneziane, ci lasciò la pelle durante uno scontro a Chioggia nel 1374. A Forlì rimise piede solo da morto, visto che fu sepolto nella chiesa di San Francesco, ma la sua tomba è però andata perduta, visto che la chiesa, sita dove ora è il mercato coperto di piazza Cavour, fu distrutta in età napoleonica.

Paolo Poponessi