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A Losanna Benito resta dottore in scienze sociali
Adesso, le autorità accademiche dell’università svizzera di Losanna, nel cantone di lingua francese del Vaud, escludono ogni possibilità futura di revoca della laurea honoris causa in scienze sociali e politiche, attribuita nel 1937 a Benito Mussolini, allora capo di governo italiano. Questa eventualità era rimasta in aria nel febbraio scorso dopo che nel 2021 l’università era stata travolta dall’inaspettato rigurgito antifascista della comunità degli emigrati italiani in Svizzera, curatrice di una mostra storico-documentaria, allestita nel museo cittadino di Losanna sulle vicende storiche dei nostri migranti in terra elvetica: già nella circostanza inaugurale di tale evento culturale la comunità promotrice aveva chiesto che l’ateneo losannese revocasse d’ufficio, senza esitazione alcuna, quel titolo accademico al Duce dittatore.
Benito, dunque, resta definitivamente dottore in scienze sociali e politiche poiché, ora, si afferma l’irrevocabilità futura del trascorso giudizio delle autorità accademiche che con ampia motivazione e larga espressione di voto approvarono la concessione di quella laurea honoris causa. Non va, infatti, dimenticato come il 21 novembre 1936 il consiglio accademico della Scuola di Scienze Sociali e Politiche (SSP) dell’Università di Losanna deliberasse a favore della laurea a Mussolini con un solo voto contrario, quello coerentemente invitabile del professor Jean Wintsch, noto per le sue manifeste simpatie anarchiche.
Né possiamo decontestualizzare dal suo momento storico e dalle sue ragioni la motivazione di attribuzione di quel titolo al Duce: “aver concepito e realizzato nella sua patria un’organizzazione sociale che ha arricchito la scienza sociologica e che lascerà una traccia profonda nella storia”. Al riguardo, veniva, infatti, riconosciuta la relazione, fondamentale e stringente, stabilita dal Fascismo tra i concetti di comunità, nazione-popolo e stato nella ricerca, affermazione di una via italiana, alternativa al contrasto tra capitalismo liberista e collettivismo socialcomunista. Inoltre, non possiamo ignorare come l’attribuzione della laurea honoris causa riconoscesse anche la trascorsa frequentazione della Svizzera da parte del futuro Duce. Infatti, tra il 1902 e il 1904 Benito era emigrato nel paese elvetico, trovandovi sia varie opportunità lavorative, compresa quella giornalistica, sia la positiva esperienza di studente, frequentante le lezioni del sociologo italo-francese Vilfredo Pareto, proprio all’Università di Losanna: anni dopo, il famoso docente definiva Mussolini un “grande statista”, addirittura sollecitandolo con un lapidario telegramma “Ora o mai più” alla presa del potere con la Marcia su Roma!
Nell’ambito di questa esperienza di studio deve considerarsi pure la frequentazione e la simpatia mussoliniana per il professore Pasquale Boninsegni, romagnolo riminese, docente nella medesima università. In conclusione, la proposta di revoca della laurea a Benito non è risultata giustamente motivata, rivelandosi solo l’ennesima richiesta della sinistra politica, sia svizzera che italiana, per continuare un ostinato, smisurato, soprattutto pretestuoso dileggio della memoria storica di uno statista, protagonista, nel bene e nel male, del ‘900 italiano.
È la stessa sinistra che in analoghe circostanze, a lei sfavorevoli, volge, invece, altrove lo sguardo, cercando di nascondere il suo ipocrita doppiopesismo. Ricordate il clamore, sollevato nel 2014 dalla vicenda di Gaetano Azzariti, ex presidente della Corte Costituzionale dal 1957 al 1961, quando si è scoperto il suo passato di gran fascista e presidente del Tribunale della Razza, perfettamente ripulito e salvato dall’epurazione grazie al sollecito, protettivo bucato di Palmiro Togliatti? Bene, se nel 2015 il Comune di Napoli ha presto revocato l’intitolazione del 1970 di una propria via cittadina ad Azzariti, la Corte Costituzionale, invece, ha lasciato cadere nel vuoto la richiesta che il busto del suo, ormai “scomodo e ingombrante”, trascorso presidente fascistone fosse rimosso dal corridoio del Palazzo della Consulta. Che dire: aulica mediocrità antifascista dei piani alti?
Franco D’Emilio