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I glicini di Palazzo Orsi Guarini Matteucci Foschi

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La presenza al numero 29 di corso Garibaldi di Palazzo Orsi Guarini Matteucci Foschi richiama alla memoria l’ordine impartito da Caterina Sforza, all’inizio di maggio del 1488, di far radere al suolo dalla folla inferocita il grande edificio di proprietà della famiglia Orsi all’indomani della riconquista del potere della città dopo le due settimane che avevano seguito l’uccisione di Girolamo Riario, avvenuta il 14 aprile di quell’anno. Mentre nell’immobile di cui parliamo la famiglia Orsi vi si stabilì agli inizi del Cinquecento, al rientro a Forlì dopo la caduta della Signoria Riario-Sforza sotto i colpi dei cannoni di Cesare Borgia, e vi rimase fino alla fine del XVIII secolo.

L’attuale facciata del palazzo, in stile neoclassico, fu realizzata nel 1786 su disegno dell’architetto Matteo Masotti (1756-1825). L’edificio passò poi al conte Domenico Matteucci in seguito al matrimonio di sua figlia con il conte Giovanni Guarini, il quale nel 1855, su disegno dell’ingegnere Giulio Zambianchi (1817-1886), fece completare la facciata lungo l’attuale via Giorgina Saffi. Ed è dal numero 7 che si accede nel secondo cortile dove si può ammirare un caratteristico pergolato di glicini che desta sorpresa (foto Giulio Sagradini) tanto che sono diversi i cittadini che passando in zona si fermano per ammirare le particolarità di questa area che fu ripristinata nel 1923 dall’avvocato Arnaldo Foschi che nel frattempo era divenuto proprietario di tutto il palazzo. Nel corso dei lavori vennero rinvenuti alcuni elementi architettonici rinascimentali, tra cui rilevanti, oltre alla ghiera in cotto finemente decorata visibile sotto il portico, sono i resti quattrocenteschi del cortile e, in direzione di piazza Saffi, l’arco in cotto al limite del portico.

All’interno del palazzo, come viene descritto nel volume “Forlì. Guida al cuore della città” di Marco Viroli e Gabriele Zelli, edito da Diogene Books nel 2019, sono da segnalare un grande affresco sulla volta dello scalone, forse opera di Carlo Cignani, e al piano nobile alcuni ambienti molto ben conservati con soffitti abbelliti da decorazioni ottocentesche. In una saletta ovale, interamente decorata a tempera, fu probabilmente ospitata, per un breve periodo, la splendida Ebe, eseguita da Antonio Canova su commissione della contessa Guarini, ora esposta presso i Musei San Domenico. Non è allora un caso che all’interno del palazzo siano presenti anche alcuni caminetti in pregevole marmo, uno dei quali pare provenga dalla stessa bottega del Canova.
La prossima tappa sarà dedicata ai glicini di via Leone Cobelli.

Gabriele Zelli