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Forlivesi a scuola di spazzatura

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Ultimo aggiornamento:

Negli ultimi tempi Alea Ambiente, la società che gestisce la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, si dimostra davvero insoddisfatta, contrariata dalla imperfetta cernita della spazzatura da parte dei forlivesi: non le basta che i cittadini paghino i costi del servizio, ma pretende inderogabilmente, insomma senza se e senza ma, che gli utenti differenzino in modo preciso secondo le indicazioni, tempo fa stabilite in un “dizionario dei rifiuti”, scaricabile dal sito della stessa società monnezzara.

Io stesso, nella mia aspirazione ad esser ligio al dovere di cittadino rispettoso delle regole, quindi pure quelle di netturbino per l’interesse comune, consulto spesso, nell’incertezza, il “dizionario dei rifiuti”, scaricato a suo tempo sul cellulare e sul pc domestico.
Quanta ironia nella vita! Da ragazzi incombeva la minaccia genitoriale che se non avessimo studiato saremmo finiti somari, dunque solo degni di fare lo spazzino, adesso, laureati o diplomati, ci ritroviamo da mattina a sera a mestare le mani nel “rusco”, per dirla alla bolognese!

Tuttavia, è più facile trovare nel celeberrimo vocabolario di greco “Rocci” la dritta per cavare le gambe nella traduzione di un passo arduo della poetica di Aristotele che, magari, avere una risposta chiara, illuminante dal dizionario Alea circa il dubbio amletico, davvero esistenziale come, ad esempio, differenziare le capsule del caffè: plastica o umido oppure indifferenziata? Non tutti i prodotti alimentari confezionati recano, ad esempio, sull’involucro l’indicazione ai fini della raccolta differenziata, quindi, spesso, sinora si è differenziato a casaccio, convinti che tanto chi mai volete che andasse a controllare se in ogni bidone o bidoncino fosse finito il rifiuto giusto.

Ora, però, la cernita differenziata alla carlona, quasi una pacchia, è finita perché Alea vigila, lascia messaggi intimidatori all’utente.
Da giorni mi segnalavano episodi di inquietanti ammonimenti, confermati, stamani, al ritiro del mio bidone giallo della plastica, quando a terra, attorno al bidone del mio vicino, comunque anch’esso svuotato, ho visto un piccolo cumulo di rifiuti, ritenuti non pertinenti alla raccolta della plastica: un paio di infradito, suola in gomma, alcuni pezzi di polistirolo, infine un sacchettone, pieno proprio di capsule del caffè.

Un rivolo di sudore freddo mi ha percorso la schiena al pensiero se la cosa fosse capitata a me, quasi un’esposizione al pubblico ludibrio, e subito sono rientrato in casa per evitare di risultare testimone dello sconcerto del mio vicino che, arrivato poco dopo, rimasto di stucco, si è guardato attorno, di fretta ha raccolto i rifiuti a terra e via di corsa, trascinandosi dietro il bidone, giallo come la sua stizza che sibilava un rabbioso, romagnolissimo “in te casen!”

Che vergogna: un bravo vicino, povero Cristo che sgobba, sputtanato dalla censura monnezzara di Alea! Di proposito, emuli del gran fiuto del lagotto romagnolo, gli operatori ecologici di Alea, diamo rango alla loro missione salvifica di Forlì dall’incombente pattume, hanno ficcato naso e occhi, spiato nel bidone del vicino: in fondo, tante sorprese vengono dalla sporcizia, magari da un cestino della carta, si pensi all’affare Dreyfus nella Francia di fine ‘800, quindi perché ignorare il bidone giallo di un anonimo cittadino, lavoratore e contribuente?

Episodi del genere si stanno ripetendo con crescente frequenza, sempre con l’indecoroso spettacolo di eventuali rifiuti, lasciati a terra perché malamente differenziati, quasi Alea possa, comunque, sottrarsi all’obbligo di lasciare pulita la pubblica via.
In tante città italiane è stata e viene via via introdotta la raccolta differenziata con cassonetti ad apertura con tessera magnetica e relativa pesatura dei rifiuti scaricati, a Forlì, invece, Alea ha imposto e pretende ancora di imporre una raccolta macchinosa, squinternata, ora pure a controllo poliziesco, tanto è il cittadino-spazzino a pagare e pazientare sotto l’oppressione che per tutta la settimana un bidone tira l’altro.

Franco D’Emilio