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Un eroe della nostra terra: Antonio “Tonino” Spazzoli, martire per la libertà
Mercoledì 19 agosto, alle ore 10,00, una rappresentanza del Comune di Forlì parteciperà ad una cerimonia commemorativa presso il cippo di Tonino Spazzoli di Coccolia. A seguire si svolgerà un momento di raccoglimento presso la tomba dei martiri partigiani, al Cimitero Monumentale di via Ravegnana. Ai due momenti saranno presenti i familiari di Tonino Spazzoli, nonché diversi aderenti a associazioni antifasciste e democratiche.
Di seguito si pubblica un testo di Marco Viroli e Gabriele Zelli su Tonino Spazzoli.
Alcuni chilometri dopo Coccolia e poco prima della Pieve di Longana sorge il cippo che ricorda il partigiano Antonio (Tonino) Spazzoli (1899 – 1944), un personaggio di assoluto rilievo della Romagna, in particolare per il ruolo svolto durante la lotta di Liberazione durante la quale fu preso, incarcerato, torturato e poi ucciso. Importante a questo proposito la testimonianza di Suor Pierina Silvetti che era in servizio presso il carcere di Forlì. Così scrisse la religiosa di quel periodo: «Con la discesa delle truppe tedesche in Italia, dopo l’8 settembre 1943, cominciò per noi un vero calvario. Agli albori della primavera 1944 avemmo l’incarcerazione di tantissimi innocenti, tra cui molti sacerdoti, tutti responsabili di soli atti di carità (…) Il povero Tonino doveva stare chiuso in cella ammanettato, senza sedersi nè sdraiarsi, senza bere e senza mangiare fino a che non si fosse deciso a rivelare tutto e tutti. Era sorvegliato da due militi, alla sua cella era vietato avvicinarsi. Solo un detenuto venne adibito alle pulizie con l’incarico di ritirare il “vaso”.
I “vasi” erano molto alti, molto capaci, ed il detenuto due volte al giorno ritirava quello di Tonino per pulirlo e poi riportarlo. Quel vaso divenne l’unico mezzo per passare nutrimento e fare da collegamento fra noi e lui. Due volte al giorno preparavamo dei cordiali: due uova sbattute in brodo ristretto che la famiglia ci procurava col solito sistema. Mettevano il cordiale in una bottiglia che facevamo sparire dentro la camicia del detenuto addetto il quale bussava alla nostra porta, con la scusa di portare roba occorrente. Prendeva poi il vaso per pulirlo e quindi introduceva la bottiglia riportando tutto in cella. Spazzoli appena richiusa la porta, aiutandosi con le mani ammanettate, estraeva la bottiglia, toglieva il tappo con i denti, quindi beveva tutto il contenuto rimettendo il vuoto. Con lo stesso sistema mandavamo i farmaci per tenerlo su, in maniera che nutrito e curato, trovasse forza per resistere e tacere. Così per molti giorni che sembrarono anni. Il detenuto quando veniva a prendere e riportare la bottiglia ci diceva: Sorelle noi moriremo tutti e quattro insieme! E per miracolo sfuggimmo a questa morte! Intanto, nonostante le terribili battiture, Tonino rimaneva di sasso. Il giorno che fu accompagnato a vedere suo fratello Arturo, fucilato e impiccato in piazza Saffi, allorché gli intimarono di parlare per non fare la stessa fine, con fermezza dichiarò di non aver nulla da dire. A notte dello stesso giorno fu prelevato ed ucciso nei pressi di Coccolia. I nostri sacrifici non valsero a salvarlo!».
Potrebbe essere sufficiente questa testimonianza per delineare la figura di Antonio Tonino Spazzoli, tuttavia sarebbe ingiustamente taciuto qualsiasi riferimento a una vita piena e complessa che lo mise in evidenza a Forlì, dove la famiglia si trasferì nel 1911, proveniente da Coccolia (RA). Giovanissimo divenne segretario del Comitato circondariale giovanile repubblicano. Fu poi un convinto interventista e volontario, partecipando alla guerra contro l’Austria in cui si guadagnò una medaglia di bronzo e tre croci di guerra. Questa esperienza lo portò a diventare sostenitore di Mussolini, al cui quotidiano «Il Popolo d’Italia» inviò corrispondenze da Forlì nel 1917, nonché partecipante, insieme a un gruppo di giovani forlivesi, al famoso comizio di piazza Belgioioso a Milano, dove Mussolini sottolineò posizioni repubblicaneggianti e rivoluzionarie, antisocialiste e anticlericali. Partecipò alla liberazione di Fiume da parte di Gabriele D’Annunzio e alla costituzione delle Avanguardie repubblicane a Forlì. Con la Marcia su Roma, in un momento in cui ci fu un riavvicinamento degli ex combattenti, in gran parte repubblicani, verso Mussolini per le sue dichiarazioni antimonarchiche, Spazzoli si pose al comando di arditi e legionari fiumani col compito, una volta che lo stesso Mussolini avesse instaurato la Repubblica, di occupare la caserma dei carabinieri di corso Mazzini. Furono sufficienti poche settimane per capire che le promesse di Mussolini di costituire una Repubblica non avevano alcun fondamento, tanto è vero che, proprio a Forlì, pochissimi giorni dopo, le squadre fasciste cacciarono dal Comune il sindaco Giuseppe Gaudenzi e la Giunta repubblicana liberamente eletta. Spazzoli diventò allora più che mai attivo nella lotta antifascista e nell’organizzazione degli ex combattenti del movimento “Italia libera” che fu costituito nel 1925. Subì un primo arresto e fu condannato a un anno di reclusione. Il regime iniziò a perseguitarlo e lo schedò come antifascista nel Casellario Politico Centrale. Successivamente, pur mantenendo sentimenti ostili al regime, cercò di celare la sua militanza “sovversiva” dedicandosi anche all’attività imprenditoriale.
Elio Santarelli (1927 – 2005), storico forlivese dedicò alla figura di Tonino Spazzoli diversi articoli pubblicati sul «Pensiero Romagnolo» n. 31 e 32 (7 e 14 settembre 1974) nei quali mise in evidenza il suo agire in quegli anni.
Scriveva Santarelli: «Il 30 ottobre 1933 Spazzoli è chiamato negli uffici della Questura di Forlì e interrogato. E’ dinanzi a un funzionario che “per delega dell’Ill.mo Sig. Questore” gli contesta come “il mattino del 28 corrente, in via Diaz, essendosi incontrato con un Reparto di Fascisti inquadrati muniti di gagliardetto omise di rendere il saluto il che tu interpretato come un atto di protesta”. Egli rispose che effettivamente vide il reparto in marcia, ma che essendo soprappensiero, passò oltre senza salutare. L’affermazione convinse l’ingenuo commissario (per la storia, Ulisse Santoro) il quale tuttavia rimproverò Spazzoli con fare paternalistico ricordandogli “come sia sommamente doveroso per ogni buon italiano e corretto cittadino salutare i gagliardetti fascisti anche se consistenti in semplici fiamme portati da reparti inquadrati, tenuto presente che essi rappresentano la Patria rinnovata”».
«È proprio in questo periodo che contro Leandro Arpinati (1892 – 1945)”, sono ancora parole di Santarelli, “non più Sottosegretario agli Interni, non più Presidente della Federazione del Calcio, si intensificano le indagini della polizia. La sua casa alla Malacappa, a pochi chilometri da Bologna, è sotto il controllo della polizia che prende nota di coloro che entrano da Arpinati. Le automobili vengono schedate dal numero di targa e denunciati i loro proprietari. Lo stesso capita ai suoi più intimi amici che vengono controllati e pedinati nei loro spostamenti. Tonino Spazzoli, per esempio, viene segnalato di passaggio “a lmola, a bordo di una macchina recante la targa FO5447. Era seguito da altra autovettura targata FO 4755. Dopo breve sosta in Imola, si diresse a Bologna”. (Da una riservata-raccomandata dell’Ispettore generale di P.S. Giuseppe D’Andrea al Questore di Forlì). È evidente che, dopo tali minuziose indagini, la polizia voleva oramai giungere alle strette e mettere fuori del gioco il gruppo arpinatiano, che aveva nello Spazzoli uno dei più autorevoli rappresentanti. “L’amico Tonino Spazzoli, un repubblicano forlivese di grande coraggio, batte la Romagna – scrisse a tale proposito Guido Nozzoli – per sollevare gli scontenti con quel vento di fronda. E sogna non so quali associazioni repubblicane capeggiate dal proconsole in disgrazia”».
La Questura di Forlì, intanto, il 18 agosto 1934 invia una “Urgente al locale Prefetto” Dino Borri (1885 – ?). Nell’essenziale si precisa che nel “Capoluogo da tempo esiste un gruppo d’individui, ferventi arpinatiani, che ostacola l’affermazione del sentimento Fascista e lo sviluppo delle Organizzazioni del Regime”. Segue un elenco di sette persone, fra le quali primeggia la figura di Spazzoli, definito “uno dei pericolosi oppositori del Regime”. Se ne traccia un breve pepato profilo, per concludere che “in questi ultimi tempi …” lo “si vedeva spesso seduto al Gran Bar, in questa Piazza A. Saffi, censurando con altri beghisti …, i provvedimenti e le direttive delle Autorità e delle gerarchie Fasciste. Dopo la caduta dell’ex deputato Arpinati Leandro, verso il quale è legato da vincoli di amicizia, in alcune occasioni, non ha mancato di tacciare S.E. [Achille] Starace [Segretario del P.N.F., ndr] d’incapacità, facendo a lui risalire la colpa delle dimissioni di detto ex deputato”. Il che era in gran parte vero. “Pertanto, termina la Relazione, … denunzio a V.E. per l’assegnazione al confino di polizia Spazzoli Antonio, assieme ad altri quattro, essendosi rivelati con la loro condotta, pericolosi all’Ordine Nazionale dello Stato …”.
Tre giorni dopo si riunisce a Forlì la Commissione istituita per l’assegnazione del confino della quale è presidente il Prefetto Borri e pronuncia a carico di Spazzoli l’assegnazione del medesimo al confino di polizia per la durata di anni uno con la seguente motivazione: “Elemento fazioso da qualche tempo ha mantenuto contatti di natura sospetta e si è fatto notare per apprezzamenti sfavorevoli circa i provvedimenti e le direttive delle Autorità governative e delle Gerarchie Fasciste con grave pregiudizio del prestigio delle Autorità stesse, rendendosi, così, responsabile di attività diretta a contrastare l’azione dei poteri dello Stato”.
Invitato a discolparsi, Spazzoli aveva detto di essere stato “repubblicano, ma dopo l’avvento al potere del fascismo” di essersi disinteressato di politica, pur essendo ora “un ammiratore delle teorie fasciste”. A proposito di Arpinati, conferma di averlo, sì, incontrato “varie volte” ma senza aver “mai parlato di politica”. È evidente che nessuno crede a queste affermazioni che qualsiasi accusato tuttavia avrebbe avanzate per un estremo tentativo di salvezza; per cui non gli rimane che preparare le valigie per il lungo viaggio verso Pomarico in quel di Matera (Lucania)».
Dopo la caduta di Mussolini, in unione a elementi di tendenze socialiste-repubblicane guidati dall’avvocato santasofiese Torquato Nanni, fonda l’ULI (Unione dei Lavoratori Italiani). Nei giorni seguenti all’armistizio, Spazzoli fu tra i membri fondatori del Fronte Nazionale, un organismo politico formato dagli aderenti dell’ULI e del PCI sorto con lo scopo di costituire e organizzare formazioni partigiane. Collaborò con il CLN provinciale forlivese e si prodigò per la diffusione della stampa clandestina del suo Partito, oltre alla raccolta di armi. Riuscì abilmente a far porre in salvo alcuni alti ufficiali inglesi fuggiti dai campi di concentramento italiani all’indomani dell’8 Settembre 1943 e rifugiatisi alla Seghettina (Bagno di Romagna), facendogli attraversare, nonostante ostacoli notevolissimi, le linee del fronte italiano ben lontane dalla Romagna, attuando una nuova e straordinaria “Trafila”, altrettanto coraggiosa e temeraria di quella che nel 1849 permise di salvare Giuseppe Garibaldi e il capitano Leggero.
Tonino Spazzoli divenne membro dell’ORI (Organizzazione della Resistenza Italiana) dove iniziò la sua attività di coordinamento di un servizio d’informazioni via radio tra la missione alleata “Zella” e l’OSS (Office of Strategic Services, antesignana della CIA) della 5a Armata americana, scopo della quale fu mantenere il contatto con le formazioni partigiane romagnole.
Venne arrestato una prima volta nel maggio del 1944 ma riuscì a fuggire e a raggiungere i partigiani sul Passo del Carnaio (Bagno di Romagna). Il 6 (o il 7) agosto, dopo una breve sosta nella propria abitazione, venne nuovamente arrestato dai tedeschi (o da elementi della Polizia della RSI) e rinchiuso nel carcere di Forlì, molto probabilmente in seguito alla delazione del marconista della missione “Zella”, che, catturato a sua volta, non resistette alle torture subite.
Intanto suo fratello minore Arturo (1923 – 1944), anch’egli partigiano nel Battaglione “Corbari” fu ucciso dai fascisti del Battaglione “IX Settembre” il 18 Agosto 1944 sul Monte Trebbio (Modigliana) e il cadavere impiccato in Piazza Saffi, a Forlì, insieme a quelli di Silvio Corbari (1923 – 1944), Adriano Casadei (1922 – 1944) e Iris Versari (1922 – 1944). Gli stessi partigiani avevano tentato vanamente di progettare un piano proprio per liberare Tonino dalla prigionia.
Per cercare di fiaccare il suo morale, la sera del 19 Agosto 1944, i fascisti lo portarono dinanzi al corpo del fratello, pendente da un lampione della piazza. Visto inutile anche questo tentativo, gli aguzzini capirono che da lui non avrebbero ottenuto niente e decisero perciò di sopprimerlo. Fu così condotto in auto nei pressi di Coccolia e qui ucciso a raffiche di mitra lungo la strada. Il corpo senza vita fu fatto scivolare lungo il sottostante fiume Ronco.
Sepolto nel Sacrario dei Caduti partigiani del Cimitero monumentale di Forlì, riconosciuto come partigiano nel Battaglione “Corbari”, alla sua Memoria è stata conferita la Medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione: “Volontario della prima guerra mondiale, mutilato e pluridecorato al valor militare, fu nella guerra di Liberazione organizzatore audace, sereno e cosciente e diede vita e diresse formazioni partigiane fedeli continuatrici delle più fulgide tradizioni. I più audaci colpi di mano, i più rischiosi atti di sabotaggio, le più strenue azioni di guerriglia lo ebbero primo fra i primi, di esempio a tutti per coraggio, valore e sublime sprezzo del pericolo. Arrestato una prima volta e riuscito ad evadere si arruolava in un battaglione partigiano continuando senza sosta nella sua attività che mai dette tregua all’avversario. Caduto ancora nelle mani del nemico durante l’espletamento di una missione rischiosa affidata al suo leggendario coraggio, subiva sevizie atroci e martirii inenarrabili senza nulla rivelare che potesse tradire la causa. A compimento della sua eroica esistenza tutta dedicata alla Patria, cadeva sotto i colpi degli sgherri nemici che barbaramente lo trucidarono”.
Un cippo con l’immagine del suo volto sofferente, ma non domo, realizzata in bronzo dallo scultore Giuseppe Casalini (1897 – 1957) è stato posto sul luogo preciso dove Tonino Spazzoli. Sul cippo è incisa la seguente epigrafe:
QUI
PIOMBO TEDESCO
FERMO’ IL CUORE
MA NON PIEGO’ L’ANIMA
DI TONINO SPAZZOLI
IMPETUOSO D’AZIONE
PUR DAVANTI
ALLA FORCA DEL FRATELLO
E ALL’AGONIA DEL PAESE
E
NEL TORMENTO DEI CEPPI
REPUBBLICANAMENTE
IMMUTATO
19 AGOSTO 1944.