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Rovere: il museo dedicato a Ilario Bandini

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Dopo aver descritto i tratti salienti della frazione Rovere non si può non citare Ilario Bandini (1911-1992), anche perché il nipote Dino Bandini conserva diverse autovetture realizzate dalla piccola ma importante casa costruttrice di automobili da corsa dello zio, un prodotto dell’ingegno e dell’ostinatezza di un uomo e di un territorio. Nella regione che ha visto nascere le più belle macchine e moto del mondo si sono virtuosamente intrecciati spirito imprenditoriale, passione per la meccanica e mito della velocità. Lo si comprende già dall’osservazione dello stemma Bandini: su fondo giallo con la bandiera italiana che lo delimita sul lato inferiore sono poste le immagini stilizzate di un galletto rampante e una caveja romagnola così come sono effigiate sulla facciata del Municipio di Forlì.

Com’è stato riportato nel libro “Personaggi di Forlì. Uomini e donne tra Otto e Novecento” di Marco Viroli e Gabriele Zelli, Società Editrice Il Ponte Vecchio, Cesena 2013, Ilario Bandini nacque nella campagna di Rovere, il 18 aprile 1911, da una famiglia di “cavallari”, e già a tredici anni entrò in contatto con il mondo dei motori e delle automobili, lavorando prima nell’officina di Angelini e Riva, a Forlì in via Bruni, poi come tornitore presso l’officina di Ulisse Laghi; furono esperienze che segnarono il suo futuro, sia come corridore sia come costruttore.

Trasferitosi all’età di 25 anni nella colonia italiana d’Eritrea, nel 1939 rientrò in Romagna e, con i soldi guadagnati in Africa, avviò un servizio di rimessa con tre auto. Da Alfredo Ricci, concessionario di Forlì, acquistò poi una moto Gilera Saturno con la quale iniziò a prendere parte ad alcune gare competitive. A causa di un incidente, occorsogli a Imola, riportò la frattura dell’unica gamba sana. L’altra infatti se l’era già fratturata due volte negli anni della gioventù. Dovette così abbandonare la carriera di motociclista per dedicarsi alle corse in auto. Nel 1940, partecipò alla Mille Miglia con una Balilla Coppa d’Oro.

Con l’entrata in guerra, com’è noto, il regime fascista impose la sospensione di ogni attività sportiva. In quegli anni Bandini, per far fronte alla scarsità di carburante, progettò e mise in funzione impianti a “gasogene”, simili a grosse stufe, installate nella parte posteriore dell’auto, che, grazie alla combustione della carbonella, producevano la quantità di gas necessaria al funzionamento del motore. Al termine della Seconda Guerra mondiale, costruì la sua prima vettura competitiva utilizzando i pezzi di una Fiat 1100 che aveva smontato anni prima e che aveva opportunamente conservato. Bandini iniziò così nel 1946 l’attività di costruzione di macchine da corsa, da quel momento inseguì il suo sogno per il resto della vita, dimostrando estrosità e inventiva.

Vero “genio” della macchina da corsa, senza laurea né diploma, fu un autodidatta puro che con tanta intelligenza, predisposizione e un’immensa volontà riuscì a imporsi a livello internazionale. Si mosse soprattutto nell’ambito della categoria 750 cm³ di cilindrata e, nonostante le limitate disponibilità e le dimensioni artigianali, seppe distinguersi creando in casa telai, motori bialbero e carrozzerie. La sua maestria come costruttore, ampiamente testimoniata dal numero di prototipi che mise in pista o su strada (circa 35), ha contribuito a diffondere nel mondo la creatività e lo stile italiano.

Tra le varie onorificenze che gli furono conferite vanno citate la medaglia d’oro del Comune di Forlì e quella assegnatagli dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) “come giusto riconoscimento di tanti anni svolti a favore dello sport italiano”. Le sue “macchine” furono ricercatissime, vendute e distribuite in tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti d’America, in particolare a Dallas. Si trattava di veri e propri bolidi che oggi fanno la felicità dei collezionisti. Queste automobili, adatte specialmente alle gare in salita, permisero a Bandini di vincere i campionati SCCA (Sports Car Club of America) nel 1955 e nel 1957 (vicecampione nel ’54 e nel ’58) e quelli della regione sud/ovest dal 1961 al 1963. La produzione della “Bandini Automobili Forlì” fu concentrata negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta: 75 auto, destinate e sviluppate esclusivamente alle competizioni.

Alla metà degli anni Sessanta, interrotti i rapporti con l’estero, la produzione rallentò ma non cessò la ricerca e l’innovazione che, con immutato entusiasmo e passione, Ilario Bandini continuò a infondere nel proprio lavoro. Grazie ai successi negli Stati Uniti, venne insignito della laurea “honoris causa” in Ingegneria all’Università “Pro Deo” di New York. Questa onorificenza è stata concessa soltanto ad altri due italiani, Enzo Ferrari e Ferruccio Lamborghini, tuttora celebrati in Italia e nel mondo. Il nostro concittadino, che mai aveva saputo coniugare l’essere con l’apparire, sconta tuttora in minor fama il prezzo della propria modestia.

Il registro storico ha censito le Bandini esistenti rilasciando 46 certificati d’originalità ai proprietari di Bandini diffusi nel mondo; un buon numero è negli Stati Uniti, ma ne esistono anche in Giappone, Germania, Inghilterra, Paesi Bassi, Svizzera, Federazione Russa e naturalmente in Italia. Ilario Bandini si spense a Forlì, il 12 aprile 1992, pochi giorni dopo aver dato la luce alla sua ultima creatura: una Bandini Berlinetta 1000 turbo 16 V. Le auto conservate da Dino Bandini a Rovere sono esposte in un interessante spazio museale che vale la pena di scoprire (visita su appuntamento 054367448).
Nel prossimo articolo si riprenderà la camminata lungo il fiume alla volta di Terra del Sole.

Gabriele Zelli