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Il recupero dell’area di Santa Chiara

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Tanti pensano che siano i resti delle vecchie mura cittadine forlivesi ma in realtà gli imponenti e alti muri in mattoni che si trovano in via Dandolo, che si scorgono da viale Italia e che si intravvedono in via Pelacano sono pressocchè gli unici resti visibili dell’antico monastero delle suore di Santa Chiara, tanto famoso in città da fare ad esso intitolare una vicina e anch’essa scomparsa porta cittadina (si trovava all’altezza dell’attuale rotonda Santa Chiara).

I resti sono oggi maggiormente visibili dato che è giunto a compimento il recupero di quest’area ad uso residenziale con l’apertura del parco archeologico “Giardino di Santa Chiara”, anche se il termine di parco archeologico sembra un poco eccessivo…
Il monastero era già presente almeno dalla metà del XIII secolo e sicuramente prosperò fino al devastante incendio che lo distrusse quasi completamente. Il tutto fu causato da una disattenzione di una monaca che, volendo affumicare la sua cella per eliminare dei fastidiosi insetti, non riuscì a controllare il fuoco che si estese a quasi l’intero complesso, bruciando tutte le celle nonché arredi sacri e reliquie. La vita del monastero comunque proseguì e la comunità si sviluppò a tal punto che nell’agosto del 1660 fu consacrata da mons. Theodoli la nuova chiesa.

Come per altre comunità religiose i tempi duri giunsero con l’arrivo di Napoleone a Forlì nel febbraio del 1797; la nuova amministrazione giacobina che aveva sostituito quella papalina, nell’ottica di una politica che voleva fortemente limitare l’influenza della Chiesa nella società, dopo pochi mesi dalla presa del potere cominciò a confiscare i beni ecclesiastici e a sopprimere gli ordini religiosi in città. Inizialmente il monastero di Santa Chiara fu tra i pochi risparmiato tanto da potere accogliere le suore del monastero di Santa Maria della Ripa cacciate dal loro convento nell’estate del 1798. Ma poco tempo dopo anche le suore di Santa Chiara dovettero lasciare il loro monastero che venne confiscato e, messo all’asta, acquistato da Luigi Belli, uno spregiudicato possidente che all’epoca, senza farsi troppi scrupoli, fece incetta di beni religiosi sequestrati.

Fu la fine: la chiesa e parte del monastero furono demoliti e ciò che ne rimase fu utilizzato per attività produttive, mentre rimanevano in piedi pressocchè intatte le mura di cinta. Ciò che era stato un monastero passò più volte di mano e là dove avevano vissuto e pregato le monache si avvicendarono un laboratorio per produrre candele, magazzini e persino un impianto di produzione del ghiaccio. In tempi recenti l’area rimase quasi abbandonata e ricoperta di vegetazione, ma nel 1987 durante sondaggi preventivi alla realizzazione di un’area commerciale riemersero le tracce dell’ antico monastero che furono oggetto di una approfondita indagine archeologica che pure non sfociò in. Se ne parlò anche in consiglio comunale ma la proposta di valorizzare quanto era riemerso dalla terra non trovò accoglienza.
Oggi, ripuliti e meglio visibili, i resti di Santa Chiara ci ricordano questo luogo della religiosità forlivese dove per più di cinquecento anni si visse nel ritiro e nella preghiera.

Paolo Poponessi