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Ladino nel 1849: Giuseppe Garibaldi attraversa il confine

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Poco distante dalla chiesa di Ladino corre il confine tra il territorio del Comune di Forlì e quello di Castrocaro Terme e Terra del Sole che fino al 1859 ha segnato quello fra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana. Giuseppe Garibaldi lo superò nel 1849, aiutato dai patrioti forlivesi, per sottrarsi alla cattura durante la fuga che lo portò da Roma, dopo la caduta della Repubblica Romana, in Romagna, in Toscana, in Liguria e infine a Nizza. La storia di questa fuga, denominata “Trafila Garibaldina” può essere letta, per quanto riguarda il nostro territorio, su diverse pubblicazioni, oppure su qualche sito online a firma di chi scrive. Si deve al Club Alpino Italiano, Sezione di Forlì, la mappatura del tragitto effettuato da Garibaldi, in particolare Giorgio Assirelli ne ha descritto il percorso e l’ha tracciato col sistema GPS, mentre Orazio Marchi, purtroppo prematuramente scomparso, ha ricostruito la parte storica. Con il loro lavoro fu realizzata una pubblicazione “Sentiero Garibaldi. Lungo la “Trafila Garibaldina” da Forlì a Modigliana, stampata e presentata in più occasioni nel 2011, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Qui mi limito a ricordare le visite dell’eroe dei due mondi a Forlì.

Garibaldi a Forlì

Quando, il 28 novembre 1848, Giuseppe Garibaldi giunse per la prima volta in città fu accolto da straordinarie manifestazioni di entusiasmo e da un’atmosfera di vera e propria esaltazione patriottica, così accesa da indurlo a intervenire per placare gli animi dei cittadini che si erano raccolti davanti al grande palazzo dei Paulucci sito a fianco di San Mercuriale. Per parlare alla folla, Garibaldi si affacciò al balcone e invitò tutti alla fratellanza e all’unità, dissuadendoli dal proposito di proclamare la repubblica e di piantare l’”albero della libertà” in piazza.
Era la sera del primo dicembre. Garibaldi ripartì con i suoi legionari solo otto giorni dopo. Precedentemente aveva concordato col governo pontificio di non fermarsi per più di tre giorni in ogni città nel corso del giro di arruolamento ed equipaggiamento di volontari per la Prima Legione Italiana, al servizio dello Stato Romano, governato da un Consiglio di Ministri dopo la fuga di Pio IX a Gaeta, avvenuta il 24 novembre 1848. In ben altre circostanze il generale transiterà da Forlì l’anno seguente.

Il 1848 è da considerarsi l’anno delle grandi rivoluzioni europee, con dirette ripercussioni sui vari Stati e staterelli in cui era divisa la nostra penisola. Sulla spinta di una rivolta popolare il Papa fu costretto ad abbandonare Roma per rifugiarsi a Gaeta, sotto la protezione borbonica. Il 9 febbraio dell’anno successivo un governo provvisorio, eletto a suffragio universale, proclamò la Repubblica Romana. I più noti intellettuali e politici democratici garantirono il proprio sostegno a questa straordinaria esperienza. Giuseppe Mazzini svolse un ruolo determinante, mentre a Giuseppe Garibaldi fu affidato il compito di coordinare un esercito di volontari, accorsi per difendere Roma.

La Città eterna resse quattro mesi all’assedio delle armate delle potenze europee. Giunti allo stremo, gli assediati cedettero alle truppe francesi, ma Garibaldi rifiutò la resa. A capo di 4.000 uomini lasciò Roma e si mise in marcia per portare aiuto a Venezia che ancora resisteva all’assedio degli Austriaci. Inseguito da cinque eserciti (francese, austriaco, papalino, borbonico e toscano), attraversò l’Umbria e le Marche con le truppe nel frattempo più che dimezzate. Insieme alla moglie Anita, in avanzato stato di gravidanza e fortemente debilitata dalle fatiche delle marce estenuanti, Garibaldi raggiunse la Repubblica di San Marino. Qui sciolse la legione, non accettò salvacondotti e, braccato dagli Austriaci, la sera del 1° agosto, si portò fino a Cesenatico. Al comando di 250 legionari, il 2 agosto 1849, l’Eroe dei due mondi si imbarcò alla volta di Venezia con un manipolo di fedelissimi, tra cui Ugo Bassi e Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio. Ancora oggi in quella data, ogni anno Cesenatico festeggia il passaggio del generale.

Gli Austriaci non diedero tregua e, nel mare antistante a Ravenna, riuscirono a catturare quasi tutte le imbarcazioni con a bordo i fuggitivi. Garibaldi approdò sulla spiaggia di Magnavacca (l’attuale Porto Garibaldi), dove sciolse il resto del suo sèguito. Restò solo con la ventottenne moglie Anita, gravemente malata, e il capitano Giovan Battista Culiolo, detto Leggero, anch’egli ferito. In circostanze non del tutto chiare Anita morì il 4 agosto a Mandriole. Venne sepolta sotto la sabbia col bimbo che portava in grembo.

Da lì ebbe inizio uno degli episodi più belli e drammatici del Risorgimento degli Italiani: la “trafila”, una straordinaria associazione clandestina patriottica, che portò alla salvezza Garibaldi e Leggero attraverso Sant’Alberto, Porto Fuori, Ravenna, i territori del Forlivese, le balze di Modigliana, fino al Granducato di Toscana e infine alla Liguria. I Romagnoli che già numerosi avevano concorso alla nascita della Repubblica Romana e avevano ricoperto ruoli strategici all’interno del governo provvisorio (Aurelio Saffi fu Triumviro e ministro degli Interni, Giovita Lazzarini ministro della Giustizia) non tradirono. Fu lo stesso Garibaldi, in alcuni suoi scritti, a evidenziarlo. Racconta il generale nelle Memorie: «Nessuno tra quelle popolazioni generose è capace di scendere alla delazione… La lunga dominazione del più perverso, del più corruttore dei governi non è stato capace di rammollire e depravare il carattere di quelle maschie popolazioni».

Garibaldi giunse a Forlì nelle prime ore del 15 agosto 1849. Furono Raffaele Capaccini e Pio Cicognani a organizzare l’accoglienza del generale a casa di Luigi Zattini. Era assolutamente necessario fare presto e agire in gran segreto per cui, la sera stessa, fu predisposto il passaggio di Garibaldi dalla Stato pontificio al Granducato di Toscana, passando il confine che correva oltre San Varano, a pochi chilometri da Forlì, in direzione Castrocaro. Per portare a termine lo sconfinamento i patrioti si avvalsero dell’apporto insostituibile di Giovanni Maltoni detto “Gnarata”, esperto contrabbandiere.

Sull’area dove sorgeva la casa di Luigi Zattini (viale Matteotti 75) da tempo è stato costruito un alto edificio che i forlivesi chiamano “grattacielo”. Su una parete esterna è posta una lapide a ricordo del passaggio del generale:
COME GLI ANTICHI LAMPADIFERI / RAVENNA TRASMISE A FORLÌ / CHE CON CURA GELOSA LA PROTESSE / LA NOTTE DEL XV AGOSTO MDCCCIL / NELLA CASA ZATTINI GORI SOSTITUITA DA QUESTO PALAZZO / LA ROSSA FIACCOLA DELLA LIBERTÀ / CHE EBBE NOME / GIUSEPPE GARIBALDI / PER CONSEGNARLA AI PRIMI VARCHI D’APPENNINO / A DON GIOVANNI VERITÀ / ED OLTRE I PASSI MONTANI / ALLE FUTURE FORTUNE D’ITALIA / Q.M.P. / XXI LUGLIO MCMLVII
Un’altra lapide in memoria di Giuseppe Garibaldi, fu posta all’ingresso del Collegio dei Padri della Missione, oggi sede della Provincia di Forlì e Cesena, e inaugurata nel 1883 da Aurelio Saffi:
A / GIUSEPPE GARIBALDI / EMULO DÈ GRANDI ANTICHI CAPITANI / DELLA GRECIA E DEL LAZIO / A LUI / CHE NELL’ARMI / PER LA SALVEZZA E UNITÀ DELLA PATRIA / MOLTO SI PERIGLIÒ / GL’INSEGNANTI / E I DISCENTI IN QUESTE PUBBLICHE SCUOLE / AMMIRATI DI TANTA EROICA VIRTÙ / DEDICARONO / IL NONO GIORNO DALLA SUA MORTE.

Gabriele Zelli