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La Romagna nello Stato Pontificio: a Rovere correva il confine

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Non si può parlare della località Rovere, che tutti i forlivesi chiamano Villa Rovere così come viene citata in molte pubblicazioni, senza ricordare che fino al 1861 la zona era caratterizzata dalla presenza del confine tra lo Stato della Chiesa e il Granducato di Toscana. Risale al 1356 la riconquista quasi completa dei territori soggetti all’autorità pontificia da parte del cardinale spagnolo Egidio Albornoz (1310-1367). L’ultima città a piegarsi fu Forlì retta da Francesco II Ordelaffi (1300-1374), contro il quale venne scatenata addirittura una Crociata, fatto unico nella storia italiana. La Crociata contro la città si concluse nel 1359 con la cessione di Forlì al legato pontificio.

Dopo aver unito con la forza lo Stato della Chiesa, si procedette all’organizzazione dei relativi territori. Secondo la tradizione, lo Stato era composto da cinque province, una delle quali era la Provincia Romandiolæ. Questa comprendeva tutti i territori soggetti all’autorità pontificia: Ravenna, Cervia, Rimini, Montefeltro, Sarsina, Cesena, Bertinoro, Forlì, Faenza, Imola. Furono esclusi l’alta Valmarecchia e parte della valle del Savio che allora appartenevano alla provincia di Massa Trabaria. Fu escluso pure il territorio dei conti Ubaldini, che comprendeva l’alta valle del Santerno. Imola, Ravenna, Rimini e Forlì (provvisoriamente, in un intervallo della dominazione degli Ordelaffi) erano amministrate da un vicario pontificio, le altre città erano governate direttamente dalla Santa Sede. Questa differenza è sostanziale poiché il vicario pontificio aveva il potere di disporre personalmente il denaro proveniente dai dazi, in cambio di un versamento annuo fisso alla Camera apostolica.

In Romagna si dovette trovare una soluzione diversa perché durante il periodo del trasferimento della sede papale ad Avignone le famiglie locali si erano impossessate di tutte le principali città e non intendevano restituirle perché le consideravano ormai dei possedimenti personali. La Santa Sede scese a patti con le signorie legittimandole e conferendo loro diritti e doveri. Il signore assunse la carica di “vicario pontificio”, mantenendo ampi poteri civili; in cambio promise obbedienza al papa.

Quando Papa Gregorio XI (1329-1378) nominò i successori di Albornoz nelle cinque province dello Stato, la responsabilità della Provincia Romandiolæ fu assegnata al cardinale francese Anglico Grimoard de Grisac (1320-1388), il cui fratello era stato Papa col nome di Urbano V dal 1362 al 1370, che iniziò ad esercitare le sue funzioni il 5 gennaio 1368 dalla sede di Bologna. Verso la fine del suo mandato, che si caratterizzò per aver riorganizzato il territorio in ambito civile e giudiziario, il cardinale Anglico fece compilare, a beneficio del suo successore, il cardinale francese Pietro d’Estaing (1324-1377), tre documenti descrittivi della realtà in cui aveva operato. In uno di questi, la “Descriptio provinciæ Romandiolæ”, veniva messo in rilievo, avendo eseguito un puntuale censimento terminato nel 1371, la capacità contributiva della popolazione residente nei rispettivi territori.

La Descriptio Romandiolæ riporta le quattro circoscrizioni politico-amministrative civili: vicariatus, districtus, comitatus, territorium e le diocesi (la sola circoscrizione ecclesiastica), oltre all’elenco dei centri abitati, classificati per ordine d’importanza in: civitas, castrum, villa (insediamento rurale), massa (insieme di fondi di un unico proprietario), plebis, capella, burgus. Riporta inoltre l’elenco dei fortilizi e dei presidi militari, delle principali vie di comunicazione, dei passi appenninici e delle linee direttrici dei traffici, delle imposte e tasse in vigore, dei soggetti con capacità lavorativa (focularia).

Valutando questi ultimi due elenchi si scoprono delle particolarità, in quanto da quello di chi lavorava erano escluse le seguenti categorie sociali: i religiosi (clero secolare e regolare, che aveva una tassazione diversa rispetto ai laici) e le persone senza capacità contributiva (mendicanti, nullatenenti, lebbrosi, delinquenti). Per calcolare la quantità di tasse da esigere dalla popolazione, venne stabilita una quota fissa che andava moltiplicata per i focularia. In Romagna venne stabilita un’aliquota di 26 denari per ogni soggetto con capacità contributiva. Quindi un centro abitato con 100 focularia doveva versare ogni anno all’erario pontificio 2.600 denari.
Nel prossimo articolo prenderò in considerazione il toponimo Rovere e la Chiesa di San Pietro in Arco o di Santa Maria della Rovere.

Gabriele Zelli