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Celebrata a Montepaolo la solennità di Sant’Antonio di Padova

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Ultimo aggiornamento:

Anche quest’anno ho partecipato a Montepaolo di Dovadola alla Santa Messa in occasione della festa di Sant’Antonio di Padova che è stata celebrata da Livio Corazza, vescovo di Forlì-Bertinoro, sabato 13 giugno, in occasione dell’anniversario della morte del santo avvenuta a Padova nel 1321. La funzione religiosa ha assunto un particolare significato in quanto concludeva la “Via della speranza”, il percorso di preghiera nell’incontro con luoghi e testimonianze significative della Diocesi, intrapreso il 9 aprile in piena emergenza sanitaria dovuta al diffondersi del virus Covid 19. Inoltre era la prima volta che ad organizzare la giornata dedicata a Sant’Antonio hanno provveduto le Sorelle Clarisse Urbaniste che da Faenza si sono trasferite a Montepaolo il 4 agosto dello scorso anno. Infine il tutto ha assunto una particolare dimensione comunitaria perché per consentire alle oltre 200 persone di assistere alla celebrazione la Santa Messa è stata svolta sul piazzale della chiesa, in condizioni di sicurezza, in quanto all’interno del luogo di culto avrebbero potuto accedere, in base ai regolamenti che disciplinano il distanziamento sociale, poco più di una ventina di fedeli.

E Montepaolo, posto sulle ridenti colline tra Castrocaro Terme e Dovadola, che è stata la prima residenza stabile di Sant’Antonio in Italia, ha risposto a tutte le aspettative. In questo luogo “il Santo” – come lo chiamano a Padova, sua città di adozione – dimorò per più di un anno tra il 1221 e il 1222 in un piccolo e modesto romitorio di frati francescani che vi conducevano vita eremitica. Sant’Antonio, nato e cresciuto in Portogallo dove studiò e fu ordinato sacerdote, giunse a Montepaolo a seguito di varie peripezie. Nel mese di settembre del 1222, in occasione di una ordinazione sacerdotale tenuta a Forlì, venne invitato a improvvisare una riflessione. Tenne una predica che rivelò ai presenti la sua straordinaria sapienza fino a quel punto totalmente sconosciuta a tutti. Da quel momento fu impegnato nella predicazione e divenne il santo che tutti conosciamo.

Il romitorio del tempo di Sant’Antonio era collocato in una zona e in un paesaggio diverso da quello di oggi, che le frane hanno sfaldato completamente nel corso dei secoli. L’umilissima abitazione dei frati si trovava sull’altura, poche centinaia di metri sotto l’attuale santuario. La famosa “grotta”, dove il santo era solito ritirarsi in preghiera, era invece più in basso, nella zona degradante, a destra del torrente Samoggia, lato Faenza.
Nella sua importante omelia Mons. Livio Corazza ha tenuto conto anche di queste prerogative del luogo, oltre che dell’attualità del pensiero e dell’azione di Sant’Antonio di Padova ed ha esordito dicendo: “Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri”, quale migliore definizione di sant’Antonio che ne descriva la missione e l’esempio anche per noi. Lo Spirito ha chiamato, scelto e inviato a portare il vangelo ai poveri, a chi ne ha bisogno. E lo Spirito continua ancora oggi a mandare sant’Antonio e gli amici di Gesù e di Francesco. Di ieri e di oggi“.

Poi il vescovo ha continuato: “Potrebbe sembrare anche strano, dopo 8 secoli, stiamo parlando e veneriamo ancora la figura di un uomo che si è spento a 36 anni. Quale è il segreto di sant’Antonio? Voglio dare un’interpretazione mia: perché forse Sant’Antonio ha scoperto l’essenziale, ha scoperto e abbracciato ciò che veramente conta nella vita.
Non vi racconto la vita perché la sapete. Vi voglio ricordare soltanto due momenti per me centrali: lui era un intellettuale, un professore dell’Università, insegnava all’Università. Era entrato nell’ordine religioso degli Agostiniani. Un ordine religioso erede della cultura, sapienza, saggezza di Agostino d’Ippona, uno dei più grandi dottori della Chiesa. E quindi conosceva benissimo le Scritture, la Teologia, i suoi sermoni che ci sono rimasti, mostrano proprio questa cultura. Aveva tutto, eppure gli mancava ancora qualcosa. Questo uomo così dotto, così colto un giorno viene colpito dall’esempio, dalle immagini dei corpi di 5 fraticelli martirizzati in Marocco. I francescani erano appena nati, Antonio conosce Francesco ad Assisi. Davanti a loro nasce la vocazione francescana, esattamente 800 anni fa (1220). Antonio si lascia affascinare dalla figura di questi fraticelli, semplici; in quel periodo giravano tante eresie, oggi le chiamiamo fake news, falsità sulla fede e sulla chiesa, e andava alla ricerca delle cose essenziali. Cinque frati, disposti a dare la vita per il vangelo, hanno fatto pensare Antonio sul senso della sua vita“.

Mons. Livio Corazza ha proseguito l’omelia citando Abba Pambo che ebbe modo di sostenere: “Quando non si vive come si pensa con la coscienza si finisce per pensare come si vive senza ascolto della coscienza: solo chi ha una ragione per cui vale la pena spendere la vita e morire, trova anche una ragione per vivere!”.
Anche noi, in questi mesi, siamo sempre di più condotti a riflettere e a vivere anche la nostra fede sull’essenziale“, sono sempre parole del vescovo che si è chiesto ed ha chiesto: “Come nutrire la nostra fede perché non muoia? Cosa è essenziale?“. Ed ha continuato: “Abbiamo, avete visto, come anche senza messa, siete dovuti restare e per un lungo periodo. Una cosa non rara capita quando uno si ammala. A molti è capitato di non andare a messa per lungo periodo. La cosa eccezionale, in questi tre mesi, è che questo è capitato a quasi tutti! Cosa è veramente essenziale? Come nutrire la nostra fede? Cosa fare? Sant’Antonio ci può essere di aiuto“.

A questo proposito mons. Livio Corazza ha brevemente illustrato quello che per Sant’Antonio era essenziale, cioè la ragione della sua vita, in sostanza una grande fede (l’intera omelia può essere letta sul sito della Diocesi). “In questi mesi, siamo stati messi di fronte all’essenziale” ha continuato mons. Corazza. “Abbiamo scoperto quanto siamo importanti gli uni per gli altri. Ci siamo sentiti fragili, impotenti di fronte al diffondersi di un virus che ci ha messo tutti in casa. Ci siamo ritrovati ad aver contemporaneamente bisogno e paura degli altri. Paura che ci potessero contagiare, e bisogno perché senza medici, infermieri, forze dell’ordine, volontari, sindaci, preti, supermercati, che a diverso titolo lavoravano per noi, non potevamo vivere. (…) Sappiamo come Montepaolo sia stato per Sant’Antonio una pista di lancio. Qui ha vissuto nella semplicità, nel silenzio, nella preghiera e nella fraternità. Qui ha maturata quella fede e quella passione che lo ha accompagnato per tutta la vita. Sono grato a sant’Antonio per la sua presenza ancora viva. Ora il convento è abitato e custodito dalle monache clarisse urbaniste. Non c’è solo la memoria di Sant’Antonio, ma la possibilità di vivere oggi le esperienze e coltivare quegli atteggiamenti che sono stati decisivi per Sant’Antonio. Posso dire che qui Sant’Antonio è diventato Sant’Antonio. Qui ha imparato a predicare: “Cessino le parole e parlino le opere”, sono le sue parole che ha messo in pratica da partire da qui! (…).
“Vi invito a salire a Montepaolo con questi atteggiamenti, a cercare l’essenziale“, ha concluso il vescovo Corazza. “Non posso non ricordare quando, nove mesi fa, c’è stata la beatificazione di Benedetta e che qui a pochi chilometri riposa e continua donare il tesoro della sua vita. Una vita diversissima da quella di sant’Antonio ma ugualmente segnata dalla scoperta dell’essenziale. Benedetta ci ha insegnato che si può vivere la gioia di essere cristiani, anche nella sofferenza.
Sant’Antonio e Beata Benedetta due esempi luminosi di speranza che, insieme a molti altri, di ieri e di oggi, ci aiutano ad affrontare le difficoltà del momento presente, senza perderci d’animo, ma con serietà e serenità“. (…).
Al termine della funzione religiosa, come da consuetudine, sono stati distribuiti ai presenti un giglio, simbolo di purezza che si associa a Sant’Antonio, e un pezzo di pane, che ricorda la carità del Santo verso i poveri.

Gabriele Zelli