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Urologia ai tempi del Coronavirus: riorganizzazione dell’attività, urgenze, triage e supporto ai reparti Covid

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Entrando in Ospedale, nella ‘piazza’ del Morgagni, così la chiamiamo in modo affettuoso fin dalla apertura del nuovo Morgagni, comprendiamo subito che quel luogo di incontro e di frenetica attività adesso non è più la stessa o, per meglio dire tutto quello che ruotava intorno a quel luogo è cambiato – esordisce Roberta Gunelli direttore dell’Urologia dell’ospedale di Forlì e presidente dell’Auro, l’Associazione Urologi Italiani -. Non posso negare come la sensazione di tristezza in emergenza, che si legge negli occhi di tutti, negli occhi perché la mascherina nasconde il viso e le sue espressioni, è contagiosa come il virus che tutti i giorni combattiamo, ma non ferma la voglia di continuare a lavorare cercando di proseguire in quello che sappiamo fare meglio: farci carico della salute dei pazienti, cercando, allo stesso momento, di aiutarli a mantenere quella serenità che è motore indispensabile per vivere in salute. Questa è la necessaria premessa per capire come il nostro impegno, di tutti i medici, infermieri, personale ausiliario e personale amministrativo… davvero di tutti, sia rivolto a cercare di continuare la attività quotidiana pur dovendo, nello stesso momento , lottare contro una malattia che tenta di sfuggirci, nascosta dietro la ancora imperfetta conoscenza di tutti i suoi meccanismi“.

Vi vorrei spiegare in qualche modo – prosegue – quelle che sono le difficoltà che ci troviamo ad affrontare giorno dopo giorno, in questa emergenza… che possiamo sinteticamente dividere in due gruppi: la necessità di non far sentire abbandonati i pazienti con malattie non covid-19 e la necessità di aiutare i pazienti affetti da covid-19. Tutti giorni leggete ed ascoltate i media che incessantemente parlano dei problemi presentati dai vari Pronto Soccorso italiani, Rianimazioni, reparti Covid e medici di famiglia, che hanno, purtroppo, dovuto plasmarsi su queste necessità non dilazionabili, affrontando il rischio del contagio con il coraggio dato dalla professionalità e dalla voglia di poter guardare negli occhi i pazienti con la tranquillità di aver fatto tutto il possibile per poterli aiutare. Ma, come vi dicevo, un grosso problema è rappresentato da tutte quelle patologie che “prima” erano ed anche oggi sono il problema di salute per un importante numero di pazienti. Al pari dei colleghi cardiologi, nefrologi, ortopedici e tanti altri specialisti, anche noi urologi continuiamo a dover dare risposta a pazienti con diagnosi ormai certa, o sospetta, di tumore, o con severe malattie infiammatorie croniche che portano un carico di dolore fisico oltre che psichico, come i Pazienti con cistiti interstiziali, o che hanno coliche renali, o che devono vivere le notti senza riposo per problemi di svuotamento vescicale ostruito dall’aumento di volume della prostata.Come è cambiata la nostra vita professionale, come abbiamo cercato di dare una risposta alle giuste esigenze dei pazienti“?

Due sono i punti nevralgici della nostra attività: la sala operatoria e l’ambulatorio – chiarisce la dottoressa Gunelli -. L’attività chirurgica è stata ridotta in modo importante per la necessità di utilizzare il personale dell’anestesia nella cura dei pazienti covid e per gli spazi occupati per creare gli ambienti necessari alle cure. La risposta è stata trovata nella organizzazione che, insieme alla Direzione Sanitaria ed al Servizio infermieristico, abbiamo generato cercando in primo luogo di definire per la attività chirurgica una sorta di triage, di valutazione fatta, sulla scorta delle indicazioni date dalle più autorevoli società scientifiche nazionali ed internazionali, sulle liste di attesa già esistenti, definendo le categorie di pazienti che per la gravità delle patologie, fra queste per prime quelle tumorali, non potevano aspettare tempi troppo lunghi e si è quindi dedicata la attività chirurgica solo a questi pazienti sospendendo la attività rivolta alle patologie benigne“.

In Urologia – spiega – è proseguita la attività in urgenza dando così spazio, anche se limitato, a patologie benigne, ma con caratteristiche di urgenza per il rischio di danno alle funzioni di organi importanti, come nel caso ad esempio delle calcolosi renali ostruenti complicate da febbre o da dolore colico persistente nonostante le terapie mediche.
L’attività ambulatoriale è stata parzialmente ridotta e tutti i pazienti vengono preventivamente contattati telefonicamente sottoponendoli ad una breve intervista telefonica per mettere in evidenza possibili sintomi sospetti per infezione da Coronavirus, in questo caso vengono invitati a contattare il proprio medico di famiglia, ed in tal modo si cerca di ridurre il rischio di diffusione del contagio. L’attività di visite CUP è stata ridotta ed inoltre alcuni pazienti preferiscono rinviare una visita ritenuta non urgente rimandandola a periodi di maggiore tranquillità. È stata mantenuta la attività ambulatoriale di cistoscopia e biopsia prostatica, essendo tali metodiche diagnostiche inserite nel percorso diagnostico delle neoplasie vescicali e prostatiche, così come è proseguita la attività di posizionamento e sostituzione di cateterini ureterali per la derivazione urinaria. È stata invece sospesa la attività di trattamento con le onde d’urto per la calcolosi renale ed ureterale rivolta a Pazienti non urgenti. Naturalmente le attività ambulatoriali sono condotte nel rispetto di quelle regole che sono ormai parte della nostra quotidianità (mascherine, guanti, distanze sociali…)”.

È importante – aggiunge – anche la partecipazione del personale medico dell’Urologia ai turni di servizio nel reparto covid, contribuendo così alla regolare attività clinica di questo reparto. Infine, una curiosità. Sui media si è letto in questi giorni che la possibile causa di un maggior numero di morti fra i maschi sarebbe potuta essere la presenza di virus a livello testicolare”.

Più di un paziente – chiarisce la dottoressa – ha chiesto un parere nostro, ma probabilmente molti altri hanno preso tale possibilità come realtà. Tale notizia trae spunto da un lavoro recentemente pubblicato che esprime la possibilità che il ritardo nella guarigione nei maschi rispetto alle femmine sia legato alla presenza della proteina che trasporta in Coronavirus (ACE2) a livello testicolare (e non nelle ovaie). La risposta per noi medici è relativamente facile poiché siamo abituati a leggere articoli scientifici mantenendo un equilibrato spirito critico, ma i non esperti possono essere tratti in inganno e trovarsi in difficoltà, in questo caso vi è più di un punto debole, ad esempio il numero di pazienti studiati è molto esiguo e quindi statisticamente poco significativo, inoltre si ipotizza la possibile presenza di virus a livello testicolare ma non è stata provata la presenza del virus nel tessuto testicolare e/o negli spermatozoi.
Se si valuta la letteratura espressa in passato nei confronti della Sars (altra malattia dovuta a Coronavirus) sappiamo che vi sono possibilità di avere orchiti in corso di Sars, ma nel caso di covid-19 non sono stati riportati (nonostante l’alta numerosità dei Pz in tutto il mondo) casi di orchiti, quindi se anche fosse ritrovata nel prossimo futuro presenza di virus a livello testicolare possiamo ritenere possa essere in concentrazione non clinicamente significativa, soprattutto pensando come il virus sia ritrovato in modo molto più evidente, al di fuori di quello elettivo dell’apparato respiratorio, a livello intestinale ed avendo in tal senso anche presenza di sintomatologia clinica riconoscibile, in particolare diarrea e nausea. Bisogna stare attenti a quanto si legge o si ascolta, ed è importante sapere che in caso di notizie con caratteristiche di sensazionalità queste devono essere recepite con molta prudenza e la possibilità di contattare noi specialisti, anche telefonicamente, può dare la possibilità di avere le informazioni corrette. È ovvio che le considerazioni attuali sono limitate dai pochi dati pubblicati disponibili e che pertanto possono essere soggette a variazioni, ma questa è la caratteristica della scienza medica che è sempre in continua evoluzione e che trova nelle certezze dell’oggi la necessità di ipotizzare e cercare altre soluzioni alle malattie che purtroppo sappiamo di conoscere in modo imperfetto“.

Siamo consapevoli – conclude – di come, quando il periodo di emergenza Covid sarà terminato, la situazione dei tempi di attesa per visite ed interventi per patologie benigne sarà impegnativa e ci troveremo nella necessità di dare motivazioni di tali tempi a pazienti che, una volta usciti dalla paura del virus, torneranno ad essere centrati su problemi potenzialmente meno mortali, ma purtroppo quotidiani e sicuramente peggiorati. Come sempre cercheremo di dare una risposta che, compatibilmente con le nostre possibilità di organico e di risorse, possa essere la migliore possibile e chiediamo fin d’ora la comprensione e la collaborazione di tutti perché sicuramente non ci sarà un passaggio netto dalla emergenza alla normalità e vi sarà la necessità di programmare un ritorno al normale volume di lavoro in modo progressivo, dovendo imparare, per un periodo probabilmente non breve, a convivere con la necessità di mantenere quelle norme di sicurezza che abbiamo imparato a conoscere, cercando di ottimizzare l’uso delle risorse mediche ed infermieristiche dando ascolto alle proprie necessità di servizi, ma sapendo che tutto quello che non è indispensabile toglierà spazio alle necessità dei pazienti più urgenti. Insieme ce la faremo!