statistiche siti
4live Logo 4live Logo

Leggilo in 8 minuti

La colonna degli anelli di Bertinoro

img of La colonna degli anelli di Bertinoro
Ultimo aggiornamento:

Dopo Terra del Sole, cittadella medicea di fondazione, un altro paese, quello di Bertinoro, merita la nostra attenzione. Non appena sarà cessato l’allarme per la pandemia causato dal diffondersi del virus Covid 19 e la situazione di emergenza che stiamo vivendo con angoscia quotidiana, consiglio di prendersi un po’ di tempo per salire fino al “balcone di Romagna“. Così, infatti, è denominata la località, che occorre assolutamente conoscere per la suggestione dei luoghi e delle vie e per l’importanza degli edifici storici: l’ex Rocca Vescovile trasformata in Centro Residenziale Universitario, il Palazzo Comunale, la Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, solo per citarne alcuni. Nell’occasione è consigliato fermarsi anche a pranzo, o una cena, in uno dei ristoranti del posto, e assaggiare i buoni vini del posto, perché anche l’enogastronomia caratterizza il luogo.

Ma ciò che contraddistingue di più Bertinoro è la “Colonna degli anelli“. Raccontano le cronache fu eretta a metà del secolo XIII quale “simbolo di cortesia e di amore e per l’opera concorde delle migliori famiglie Bertinoresi, auspice Guido del Duca. Sorse per togliere motivi di dissensi e di litigi fra di loro, perché ogni qualvolta un onesto forestiero arrivava in città, ognuno voleva liberamente ospitare”. Questo atteggiamento, in base alle ricerche condotte da diversi storici, è stato celebrato da diversi scultori antichi e moderni. Nessuna descrizione su questo fatto appare più significativa ed efficace di quella tramandataci da Francesco Lancia, autore dell'”Ottimo commento” e contemporaneo di Dante, quando scrive: “Intr’agli altri laudabili costumi de’ nobili di Bertinoro era il convivare, e non volevano che uomo vendereccio vi tenesse ostello; ma una colonna di pietra era in mezzo al castello: alla quale, come entrava dentro, il forestiere era menato e ad una delle campanelle convenia mettere cavallo e cappello; e come la sorte gli dava, così era menato alla casa per lo gentile uomo al quale era attribuita quella campanella, ed onorato secondo suo grado. La quale colonna e campanella furono trovate per torre materia di scandalo intr’alli detti gentili, che ciascuno prima correva a menarsi a casa il forestiere, siccome oggi si fugge”.

Nel volume “Bertinoro. Notizie storiche” l’autore, Luigi Gatti, annota che: “Su questo fatto che altamente onora la nostra città, volle qualche critico far sorgere dubbi, ma il Prof. Paolo Amaducci, con passione intelligente e tenace, seppe raccogliere documenti e prove inconfutabili che ne dimostrano luminosamente la realtà storica. Questa documentazione fu esposta in due interessantissime letture fatte dal sullodato Amaducci il 14 settembre 1924 e il 5 settembre 1926, e che il Comune, per unanime consenso della cittadinanza, volle raccolte in opuscolo”.

Amaducci scoprì che nel 1539, come risulta da una memoria conservata nell’archivio comunale, la colonna esisteva ancora sulla piazza. La sua rimozione deve essere avvenuta verso il 1570, quando, ultimati i lavori di costruzione dell’antico condotto che da Monte Maggio conduceva l’acqua nel mezzo dell’abitato di Bertinoro, allora un castello, fu costruita una fontana proprio nel punto dove sorgeva la colonna, come si è rilevato durante gli scavi eseguiti per i lavori della fogna, e per quelli del metanodotto negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, che hanno messo in evidenza i resti dell’antica conduttura, la quale si arrestava proprio di fronte e da presso alle fondamenta della Colonna. In tale occasione, scrive Gatti, i bertinoresi, “devoti al culto delle patrie memorie, non vollero che ne andasse perduto il ricordo, e trasportarono alcuni avanzi di essa nella sede del comune, perché vi fossero custoditi ed onorati”. La fortuna ha voluto, prosegue Gatti, che anche questi avanzi, di cui non si aveva traccia, venissero alla luce. Nel 1922 mentre si eseguivano i lavori di adattamento al muro prospiciente il pianerottolo della scala d’ingresso al palazzo, per collocarvi la lapide a ricordo dei caduti nella grande guerra, si scoperse improvvisamente una nicchia, entro la quale era riposta la base di una colonna di sasso nostrano. Quando nel 1926, identificate le vecchie fondamenta, si volle sovrapporre, a titolo di prova, il ritrovato avanzo sull’impronta dell’antica base ancora evidente, i due contorni combaciarono perfettamente. Questo bassorilievo conservato nella nicchia, murata forse nel 1767 durante i lavori di nuova sistemazione della scala, non poteva perciò rappresentare altro che le vestigia dell’antico monumento, il ricordo delle quali era giunto fino a noi anche dalla tradizione popolare. Questo fatto accrebbe nella cittadinanza il desiderio più volte espresso di vedere risorgere il glorioso monumento, desiderio che fu esaudito il 5 settembre 1926. E risorse nella pubblica piazza, sulle antiche fondamenta ornate alla luce, col concorso di tutta la Romagna, in un rinnovamento anelito alla pace e al bene, a simbolo della tradizionale ospitalità”.

Dalle cronache dell’epoca si apprende che fu costituito un Comitato per la ricollocazione della colonna. Al capo del governo in carica, Benito Mussolini, fu chiesto di assumere la presidenza onoraria. Il Duce con un “significativo telegramma si compiacque aderire alla geniale iniziativa”.
A lavori conclusi si tenne la cerimonia inaugurale che si svolse in un’atmosfera di grande solennità. Rappresentanti di tutti i Comuni della provincia di Forlì e di Ravenna, presenti i senatori Luigi Rava e Alessandro Albicini, diversi deputati fra cui Ivo Oliveti, tutte le autorità politiche, civili e religiose, moltissimi giornalisti e letterati, fra i quali Antonio Beltramelli e Rodolfo Viti, e “tutto il popolo”. Fu così che “la Colonna, in una gloria di sole, fu salutata dall’entusiastico applauso di tutti i presenti. Dopo un felice discorso di saluto alle autorità e al popolo del Sindaco Leone Conti, ed a vibranti parole di Federico Ravagli, che nella lontana Tripoli aveva portata la fraterna adesione dei colonizzatori romagnoli, l’illustre concittadino Paolo Amaducci rievocò la storia di Bertinoro, che Dante e Carducci ricordarono nei loro canti immortali, illustrò la tradizione della Colonna, simbolo dell’anima gentile del romagnolo che in ogni tempo ha saputo dare eroi alle grandi idee, uomini al governo della Patria e ingegni all’arte e alla poesia, ed accennò felicemente all’anno francescano e alle dolci parole del Poverello d’Assisi sulla cortesia, che ben si addicono al simbolo dell’ospitalità”.

Nell’occasione venne rievocato il “rito dell’ospitalità” sorteggiando i nomi di dodici famiglie forestiere e di dodici poveri, che furono invitati a pranzo da altrettante famigie bertinoresi.
La colonna, che ancora oggi campeggia in piazza della Libertà, di fronte alla sede del Comune, fu realizzata su progetto del progettista forlivese Emilio Leonida Rosetti utilizzando sasso sammarinese ed è la riproduzione, tolto il capitello che non esisteva, di quella tramandataci da antiche memorie.
Sul lato di fronte al basamento è riportato un distico tolto da una scritta sormontante lo stemma di Bertinoro, esistente in una sala dell’arcivescovado di Ravenna, dove sono ricordate le città suffraganee. Vi è scritto “Si me Busiris nosset, si Taurica tellus – Disceret exemplis hospita facta meis”. Versi che significano: “Se Busiride (mitologico re d’ Egitto che uccideva quanti forestieri gli cadevano nelle mani) se la terra dei Tauri (odierna penisola di Crimea ove Toante faceva scempio degli stranieri) mi conoscessero, imparerebbero dal mio esempio, come debba essere praticata l’ospitalità. Sul lato nord-est è il motto “Omnibus una”, motto che l’accademia letteraria dei Benigni aveva scritto sulla sua insegna riproducente la colonna. Sul lato nord-ovest sta scritto: “Hic constitit viator”, cioè “Qui si fermò il viandante”. Questo lato è rivolto alla via Mainardi che era in antico la strada principale di accesso al castello di Bertinoro. Nel lato sud viene rievocata la data dell’inaugurazione.

La festa dell’Ospitalità
Da allora, ogni anno, nel corso della prima domenica del mese di settembre si svolge la Festa dell’Ospitalità. Questa consuetudine all’apertura è tutt’ora elemento distintivo dell’identità locale. In quei giorni a Bertinoro si possono rivivere le gesta antiche salendo alla Colonna: ad ogni anello sono appese più buste che invitano il forestiero a sedersi alla tavola di una famiglia bertinorese per il pranzo della festa. A questo suggestivo rito si affiancano tantissime altre iniziative collaterali: concerti, spettacoli, stand gastronomici, cene a tema e mostre, che rendono particolarmente interessante le giornate che precedono l’appuntamento principale.

Ogni anno, da diverso tempo, viene scelto un tema per caratterizzare la festa e nel contempo per valorizzare un aspetto del territorio. Lo scorso anno, in occasione della 93° edizione è stato scelto come argomento “Di Rocca in Rocca, La Romagna dello Spungone”, per rendere omaggio proprio allo Spungone una particolare roccia tufacea che forma le nostre colline e che influenza la geologia del territorio e la produzione agricola e vinicola locale. E nel 2020 la festa si potrà svolgere? Se si, verrà vissuta come segno di ripresa? In ogni caso bisogna essere ottimisti e prepararci per il prossimo 6 settembre.

Gabriele Zelli