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Ex Casa del Fascio di Predappio: il sindaco rassicura, ma non convince

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Ultimo aggiornamento:

Dopo le polemiche di alcune settimane fa c’era molta attesa di conoscere la posizione dell’attuale sindaco di centrodestra, Roberto Canali, e della sua giunta sulla tanto discussa vicenda del recupero e della destinazione d’uso finale della ex Casa del Fascio di Predappio: attesa che era voglia di chiarezza, di determinazione nel perseguire un obbiettivo che sia, innanzitutto, nell’interesse dei predappiesi, poi del territorio forlivese, infine della tutela nazionale di una importante testimonianza storica della nostra architettura del ‘900.

Invece, la conferenza stampa di ieri 12 dicembre, appositamente convocata dal primo cittadino, della quale ho ascoltato l’intera registrazione, è parsa principalmente l’occasione per rassicurare e mettere a sopire velenose polemiche, anziché un convincente pronunciamento sulle modalità e finalità del restauro in questione.
La strada verso il recupero resta incerta, ancora troppi “valuteremo”, “vedremo”, ancora la sconfortante ammissione che “siamo all’oscuro di cosa sia stato fatto”; meno male, ieri, la presenza dei tecnici, responsabili del progetto di ripristino che, perlomeno, hanno fornito informazioni utili e dato prova del loro fattivo lavoro.

Le parole del sindaco Canali, “siamo qui per dire che il progetto va avanti” e “il progetto di recupero dell’ex Casa del Fascio va avanti perché è un obbiettivo primario di questa amministrazione” non sono state affermazioni opportune, tanto meno sorprendenti, ma solo superflue perché inesorabilmente scontate: ci mancherebbe solo che tutto fosse bloccato, mandato all’aria dopo i costi sinora sostenuti! Ci mancherebbe che il Municipio di Predappio, pur in presenza di una giunta di diverso colore politico, rifilasse in soffitta il restauro di un edificio storico, bene culturale cittadino, rinunciando, fra l’altro, ad un’ampia disponibilità di volumi, già edificati, utili ad accogliere servizi per i predappiesi!

Riguardo, poi, ai mutamenti, apportati dai tecnici al progetto solo preliminare, informale del 2015, il sindaco Canali ha affermato come essi siano stati necessari per eliminare alcune contrarietà della Soprintendenza ravennate ai beni architettonici, quindi “Sollevarli e fermarci ora, da parte nostra, è stata un’assunzione di responsabilità”: ma perché farsi carico dei pasticci altrui? Qui si è trattato solo di rimediare ad un difetto amministrativo della precedente giunta comunale ovvero la mancanza di un progetto ufficiale, certificabile dall’assenso della Soprintendenza: in questo caso, la responsabilità ovvero rendere ragione delle proprie azioni, riguarda unicamente il precedente sindaco.

Il primo cittadino di Predappio ha, comunque, rassicurato sulla conferma dei fondi finora stanziati e per questo disponibili, altri, pari ad una cifra tra 1,5 e 2 milioni di euro, dovranno, invece, ancora reperirsi per sostenere l’allestimento interno; ha, poi, audacemente indicato nel 2021 l’anno di inizio e compimento dei lavori, cosi che la ex Casa del Fascio sia inaugurabile e restituita ai predappiesi agli inizi del 2022.
Sarei stato più cauto, c’è il problema degli imprevisti esecutivi, sempre presenti nel lavoro di recupero di un immobile per troppo tempo abbandonato all’incuria e allo sfregio; resta incombente la questione dell’ulteriore reperimento di fondi a copertura di spesa.
Sulla destinazione d’uso finale della ex Casa del Fascio dopo il suo restauro il sindaco non mi ha per nulla convinto.

Solitamente si finalizza il restauro di un edificio al recupero, in toto o in parte, della sua finalità originaria e tutte le Case del Fascio erano, al tempo stesso, sia sedi territoriali, organizzative e amministrative, del Partito Nazionale Fascista e delle sue organizzazioni collaterali, sia luoghi di incontro dei cittadini, di formazione ed educazione dei giovani, dunque accoglievano ed esprimevano appieno la “socialità” culturale, perché no antropologica, del Fascismo.
Orbene, il recupero della ex Casa del Fascio di Predappio va, oggi, finalizzato ad ospitare l’attuale “socialità” di Predappio e del suo circondario: per questo non mi convince affatto che il restauro possa finalizzarsi ad un Centro Documentazione sulla Storia del ‘900, frequentato da pochi utenti, perlopiù estranei al paese, con scarsa ricaduta sulla complessiva vita predappiese, e su una parte, destinata alla ristorazione, all’accoglienza di residenti e visitatori.

Sarebbe davvero poca cosa, soprattutto in termini di ritorno degli investimenti effettuati. E, poi, tenuto conto della logistica del trasporto pubblico e della viabilità tra Forlì e Predappio, pensiamo veramente che sia opportuno l’insediamento di un Centro Studi nel capoluogo della Valle del Rabbi? Siamo certi di non realizzare una pretenziosa “cattedrale nel deserto”?

In Toscana, a Chiesina Uzzanese e a Pescia, Comuni in provincia di Pistoia, le locali ex Case del Fascio sono state recuperate e destinate rispettivamente a sede della Protezione Civile, della stazione dei Carabinieri e di varie associazioni, e a sede della Sezione dell’Archivio di Stato: mantenendone la monumentalità e l’intrinseco valore museale, i due immobili sono rimasti al servizio delle rispettive comunità.
Perché non applicare tale indirizzo anche all’immobile predappiese?
Il sindaco di Predappio, riferendosi alla destinazione d’uso della ex Casa del Fascio, una volta restaurata, ha dichiarato di volere “qualcosa che unisse e non dividesse. Dovrebbe essere un monumento alla riconciliazione nazionale”: caspita, pensa davvero che questo obbiettivo sia realizzabile con un elitario Centro Studi ed un’area di ristorazione e accoglienza? Colgo solo un’assoluta mancanza di realismo, solo idee confuse senza pragmatismo!

In meno di 20 anni il Fascismo costruì Predappio Nuova con un piano urbanistico, un patrimonio di abitazioni, edifici e servizi pubblici, adesso, invece, oltre 70 anni dalla caduta del regime, non siamo in grado di elaborare il progetto ufficiale per il recupero di un solo edificio: è il colmo, la vergogna del divario storico tra il nostro passato, per certi aspetti anche colpevole, del concreto fare e il nostro presente del solo, lento, logorroico dire.