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Da Predappio a Milano il business dell’Antifascismo e della Resistenza

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Ultimo aggiornamento:

Il danaro pubblico dei contribuenti è fondamentale per l’erogazione dei tanti servizi indispensabili per soddisfare i bisogni collettivi, appunto pubblici per la loro destinazione finale: sanità, istruzione, cultura, lavoro ed investimenti economici sono, ad esempio, alcuni delle necessità che vanno assicurate alla collettività, intesa come ampia, se non totale pluralità dei cittadini.
Si investe, si spende in servizi che hanno, innanzitutto, una ricaduta sociale su tutto l’universo nazionale, senza distinzione alcuna tra i cittadini stessi, né di natura sociale, economica, ma neppure ideologica e politica.

Quando col danaro pubblico si sostengono, invece, attività, servizi utili solo ad una parte dei cittadini, allora si cade nella tutela, anzi nella promozione di una “singolarità”, pur plurima, di interessi peculiari, originali, ristretti ad un gruppo o gruppi della comunità nazionale.
La tutela degli interessi collettivi non può creare disparità, tanto meno risultare divisiva.
Eppure, c’è un circuito vizioso, perché scorretto e sbagliato, soprattutto fondato su presupposti imposti e non condivisi, che ogni anno dilapida, sperpera fondi pubblici senza una ragione fattiva sulla vita, quotidiana e prossima, di tutti gli italiani: è il circuito dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI), degli Istituti Storici della Resistenza ed altri Istituti, tutti di chiara impronta di sinistra, dunque esclusiva di una parte ideologica e politica, per questo divisiva e contraria agli interessi comuni nazionali.

Mi si obbietterà che sono tutte attività per la salvaguardia e la difesa della nostra democrazia da risorgenti autoritarismi, prodromi di neofascismi, ma sfido chiunque a dirmi quali siano e ove siano riposti, oggi, i motivi di una tale preoccupazione, di un simile pericolo. La verità amara è che una parte politica italiana, la sinistra, ha sempre il disperato bisogno di avere un nemico fascista e/o autoritario per chiamare all’adunata antifascista, alla continuità di una Resistenza che nel corso dei decenni la sinistra è stata la prima a tradire in termini di corruttela, corruzione, scandali e sottogoverno nelle amministrazioni locali controllate.

Non contesto affatto la legittimità di tali associazioni e istituzioni a perseguire le loro finalità, vorrei solo che lo facessero con il solo sostegno, quindi il solo consenso collegato di quanti vi si riconoscono e vi si associano. Perché tutti dobbiamo sostenere un’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia che, pure attraverso i suoi giovani soci, guarda al presente con gli occhi volti al passato e, poi, divide, contrappone gli italiani in una caccia anacronistica al fascista, quasi mai fosse trascorsa la resa dei conti del 25 aprile 1945?

Perché mai tutti dobbiamo sovvenzionare gli Istituti Storici della Resistenza, prevalentemente diffusi al nord e, in parte al centro, anch’essi sostenitori di finalità culturali, settarie e divisive, fortemente connotate sul piano ideologico e politico? Gran parte di questi Istituti hanno, fra l’altro, pure una gestione parziale, discriminatoria per quanto attiene alla consultazione dei loro archivi e biblioteche, solo sulla carta riconosciuti come pubblici, ma in realtà agibili perlopiù totalmente solo a soci fidati.

Anche i Comuni di Forlì e del forlivese hanno mantenuto e tuttora mantengono iniziative dell’ANPI e del locale Istituto della Resistenza, alcune delle quali sono davvero attività all’insegna della divisione sociale e politica, pur se, magari, mascherate dalla bonomia di una festosa “tagliatella antifascista”! Scorrete l’elenco dei soci, delle cariche all’interno dell’una e dell’altra associazione, scorrete i protagonisti delle diverse manifestazioni, pubblicazioni, aggiungete pure talune consulenze prestate e, allora, capirete quanto e a chi renda tanto business tardoantifascista e tardoresistenziale.

Né va dimenticato che oggi gli Istituti Storici per la Storia della Resistenza costituiscono la rete diffusiva sul territorio nazionale dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, articolato in 77 strutture, delle quali 63 Istituti per la Resistenza e 14 enti collegati; né va, altresì, dimenticato l’espediente, escogitato anni fa, per mantenere l’attualità, quindi il finanziamento pubblico, ovvero l’aggiunta di un riferimento alla più vasta età contemporanea, cosicché, adesso, dobbiamo farci carico di sostenere Istituti Storici per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea. Ma va, bella furbata!

Una lobby, dunque, che fa business sull’Antifascismo, sulla conseguente Resistenza e sulla futura salvaguardia dell’età contemporanea.
Così, l’Istituto Parri punta a realizzare, immaginate con quale spirito, il Museo del Fascismo nella restauranda ex Casa del Fascio di Predappio e il prossimo Museo Nazionale della Resistenza a Milano: due strutture che a noi contribuenti costeranno qualcosa tra i 21-25 milioni di euro. Proclamandosi paladini di un immarcescibile antifascismo l’ANPI, gli Istituti Storici per la Resistenza e l’Istituto Parri campano sui tributi di tanti ignari italiani, troppo occupati a risolvere ben altri problemi.
Antifascismo e Resistenza debbono essere storicamente contestualizzati e compresi nella loro originalità: forse aveva ragione Giulio Andreotti nell’affermare che “l’antifascismo è come i vini, bisogna guardare l’annata.”