“10 dicembre 1944. Tempo splendido … Quattro apparecchi, uno dei quali colpito dalla contraerea è precipitato in fiamme verso Bastia, hanno compiuto poco dopo l’Ave un’incursione sulla città, con conseguenze disastrose.
La prima bomba, come le altre, di straordinaria potenza, ha interamente demolito la chiesa di S. Biagio, la canonica, il campanile e parte dell’attiguo monastero di clausura: ventiquattro persone vi sono morte fra cui suor Giovanna Desirello; poco prima un gran numero di devoti assisteva alla funzione, quindi usciti per la maggior parte in tempo si sono salvati…
Insieme al grave lutto la città ha sofferto perdite cospicue in opere d’arte, ché per sé sola un museo era la chiesa di S. Biagio… In polvere sono andati gli affreschi della cappella Feo, opera di Marco Palmezzani eseguita su cartoni di Melozzo, così gli altri della cappella Hercolani, opera egregia di Francesco Menzocchi. … tra le macerie sono finiti il monumento sepolcrale di Barbara Manfredi, una tavola di Menzocchi e il grande dipinto della Concezione di Guido Reni …”.
Così Antonio Mambelli (Forlì, 1890-1976), noto studioso e tutore del patrimonio culturale forlivese, annotava la terribile distruzione della Chiesa di S. Biagio nel suo “Diario degli avvenimenti in Forlì e Romagna dal 1939 al 1945”, opera in due volumi, pubblicato a cura di Dino Mengozzi nel 2003.
E lo stesso Mambelli, all’indomani della disastrosa rovina, l’11 dicembre ’44, non mancava di registrare come corresse “voce che il parroco di S. Biagio sia diventato pazzo dal dolore.” Proprio così, un disperato dolore aveva piegato Don Pietro Garbin, il solido, coraggioso salesiano, testimone di fede e di speranza, che reggeva allora quella parrocchia forlivese.
Martedì prossimo 10 dicembre, alle ore 18,00 la comunità di S. Biagio si ritroverà in occasione della messa di suffragio per le vittime di quel tragico avvenimento, strage di civili, compiuta, ormai, ad un mese dalla liberazione di Forlì: nella zona di S. Biagio erano dislocati solo comandi alleati logistici, non operativi sul piano dell’azione militare e, fra l’altro, di utile aiuto ai forlivesi affamati e senza tetto, quindi, ancora oggi, ci si chiede quale senso avesse, da parte dei nazifascisti, ormai prossimi alla loro completa disfatta, colpire un centro cittadino, restituito alla libertà e all’auspicio di una rinnovata democrazia.
Una strage, solo un’esecrabile, vile strage, come sempre e soltanto sanno compiere tutte le dittature di qualsivoglia colore, costrette alla inesorabile resa dei conti.
Eppure, 75 anni dopo, non solo resta viva la memoria della distruzione di S. Biagio, ma la celebrazione annuale di questa stessa memoria rinnova, rinfresca sempre, passatemi quest’ultima espressione verbale, l’attualità della parola chiesa.
Il significato di chiesa è duplice: da una parte, indica la confessione religiosa d’appartenenza, dall’altra, invece, denomina l’edificio, consacrato alla celebrazione pubblica del culto e alla condivisione di comuni valori religiosi.
La parola chiesa significa, quindi, dimensione comunitaria e richiama il simbolo fondamentale del nostro credo, due valori che, poi, assieme sottolineano un’identità di appartenenza e professione.
Distruggere una chiesa, come ogni altro edificio di culto, è doppiamente vergognoso: offende la fede e priva i fedeli del luogo ove esternare i propri sentimenti e intenti religiosi.
Per questo, nonostante la furia rovinosa della guerra, i parrocchiani di S. Biagio, guidati dal loro pastore don Petro Garbin, subito si adoperarono perché una nuova chiesa sorgesse nel medesimo posto di quella distrutta: non importò se il campanile non fosse ricostruito, se la chiesa ricostruita fosse più piccola e orfana al suo interno di qualche capolavoro artistico, andato perso con la distruzione; fu importante, solo e soprattutto, restituire alla comunità di S. Biagio il proprio luogo di fede e preghiera, di aggregazione ed operosità cristiana sotto la guida dei Padri Salesiani, presenza spirituale e fattiva, ancora oggi tanto significativa nella vita culturale ed educativa della città di Forlì.
Non poteva che andare così, l’unica cosa che giustamente stette a cuore ai salesiani e ai parrocchiani di S. Biagio fu quella di riempire anche la nuova chiesa di quei valori, di quegli obbiettivi, di quelle speranze che già avevano animato e distinto la comunità prima della distruzione, tanto da meritare la giusta annotazione nel diario di Antonio Mambelli: “11 dicembre 1943. Nella canonica della parrocchiale di S. Biagio si sono svolte lezioni sulla Rerum Novarum, tenute dal salesiano e parroco don Garbin e seguite da discussioni per parte di alcuni giovani del movimento democristiano e di altri; un commissario di polizia ha però, in confidenza, avvertito del pericolo che poteva gravare su simili riunioni, così il ciclo è finito laddove appariva molto utile a chiarire le idee nella eventualità di un domani diverso dall’oggi. …”; “27 agosto 1944.
Altri sfollati trovano ricetto nella chiesa di S. Biagio e dormono negli stalli del coro; don Garbin, salesiano e parroco, è oggetto di violenze da parte dei teutoni: costoro sono giunti a tenerlo al muro per mezz’ora sotto la minaccia dei mitra. E’ un giovane d’ingegno, antifascista, pieno di spirito e di iniziative, cui si deve una continua opera di assistenza fervida a favore degli sfollati e dei miseri.”
Ecco, proprio richiamando laddove il nostro Mambelli scrive della “eventualità di un domani diverso dall’oggi”, vorrei che la consapevole possibilità di un futuro migliore del presente e del passato sospingesse la partecipazione alla messa di suffragio, prevista alle ore 18.00 di martedì 10 dicembre nella Chiesa di S. Biagio a Forlì, magari visitando, poi, anche la mostra storico documentaria, allestita nel 70° anniversario, ancora visitabile nel transetto della stessa chiesa.
Ai parrocchiani e ai Padri Salesiani di S. Biagio la vicinanza dell’abbraccio e del cuore della città di Forlì.