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A Ravenna oltraggiata l’Aida di Giuseppe Verdi

Di Franco D'Emilio Leggilo in 2 minuti
Aggiornato: 13 agosto 2024
A Ravenna oltraggiata l’Aida di Giuseppe Verdi

Prima o poi sarebbe accaduto! In nome dell’integrazione e del multiculturalismo siamo giunti persino a fare scempio dell’originalità creativa, unica e intrinseca, di un grande maestro della musica operistica, italiana e mondiale, al tempo stesso pure figura di rilievo della nostra storia risorgimentale: Giuseppe Verdi. L’oltraggio è avvenuto, purtroppo, sabato scorso 9 novembre 2019 nella messa in scena dell’Aida al Teatro “Dante Alighieri” di Ravenna, con la regia a cura di Cristina Mazzavillani Muti e con la direzione d’orchestra del maestro Nicola Paszkowski.

La rappresentazione procedeva liscia, tale da accontentare anche i più esigenti, critici melomani, quando nel quarto atto, Radames ormai prossimo a morire, è entrata in scena la soprano turca Simge Buyukedes per levare, così lo indicava il cartellone dell’Alighieri, un “lamento funebre” arabo, tratto dal poema Makber del poeta Abdulhak Hamid Tarhan, vissuto tra il 1851 e il 1937, figura di rilievo del cosiddetto “romanticismo turco”. Un inserimento certo inaspettato, originale, però un’intrusione fuori luogo, proprio come i cavoli a merenda che ha violato il disegno originario dell’Aida e contrariato più di qualche spettatore, inducendolo ad abbandonare lo spettacolo nel buio della platea.

Innanzitutto, quello, risuonato sabato scorso nel Teatro Alighieri, è un canto della letteratura turca contemporanea, al massimo con remoti precedenti nella poesia preislamica del VII-VIII secolo d.C, quindi molto lontano ancora dall’antica età egizia e, soprattutto, dalla concezione della morte al tempo dei faraoni.

Alla fine, perciò, solo un oltraggio immotivato all’integrità dell’opera di Verdi e un grave precedente per giustificare eventuali, nuove manomissioni di creazioni e valori culturali.
Mutando il racconto dell’Aida con questo “lamento funebre” si è, in realtà, strumentalizzato Verdi perché una sua creatura si prestasse ad una improvvida, attuale operazione di integrazione culturale tra il sentire occidentale ed il sentire orientale, arabo.
Il “Cigno di Busseto” non meritava davvero questo affronto!

L'autore

Franco D'Emilio
Franco D'Emilio

Origini toscane, ma forlivese d’adozione dal 1986, per 38 anni funzionario scientifico del Ministero della cultura nel settore degli archivi, biblioteche e dei beni artistici, storici. Curatore di numerose mostre storico-documentarie d’iniziativa pubblica e/o privata. Autore di pubblicazioni prevalentemente sulla storia italiana contemporanea. Collaboratore di testate giornalistiche ed agenzie di stampa, locali o nazionali.

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