Se fosse vivo, oggi Aurelio Saffi compirebbe duecento anni. Ma non li dimostrerebbe. Non per l’aspetto, naturalmente: per le idee. Il triumviro della Repubblica Romana del 1849, il più fedele amico di Mazzini, infatti, ci stupirebbe per la modernità del suo pensiero, come di sicuro nel 1884 stupì i colleghi dell’Università di Edimburgo, ai quali, in rappresentanza dell’Alma Mater, disse più o meno così:
1) “I trovati della Scienza vanno rimuovendo gli ostacoli della distanza e del tempo“. Il mondo, in parole attuali, è più connesso, grazie alle tecnologie della comunicazione (allora telegrafo, telefono, stampa).
2) “Giova sperare che non sia forse lontano il giorno in cui le cagioni della guerra vengano tolte di mezzo o grandemente diminuite, mercé la graduale applicazione del grande principio della Nazionalità e dell’Associazione Federale all’ordinamento degli Stati europei“. In altri termini: proprio l’aumento delle relazioni deve favorire un’organizzazione della comunità umana progressivamente tendente all’unità, attraverso istituzioni in grado di neutralizzare i conflitti. Una Società della Nazioni, una Unione europea…
3) Il soggetto che può realizzare tutto questo è una generazione di giovani che scambi “manifestazioni del pensiero […] da contrada a contrada, mediante l’uso dei mezzi più confacenti all’uopo; come l’insegnamento delle principali lingue e letterature d’Europa in ogni Università; [o] la istituzione di borse per l’invio di studenti all’estero per accrescere e generalizzare la loro coltura“. Insomma: la mobilità dei giovani e il progetto Erasmus cento anni prima.
Altro che bicentenario! Teniamocelo stretto, Aurelio.