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“Canterini romagnoli”: una tradizione che continua

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Ultimo aggiornamento:

I soci dei Lions Club forlivesi e del Leo Club garantiranno l’apertura del Museo Romagnolo del Teatro tutte le domeniche di maggio dalle 15,00 alle 18,00. Durante il corso di questi pomeriggi Gabriele Zelli racconterà storie inerenti a quanto viene conservato a Palazzo Gaddi. Ha iniziato domenica 5 maggio proponendo a un pubblico folto e attento la storia dei Canterini Romagnoli che di seguito si riporta.

In una sala di Palazzo Gaddi, dov’è allestito il Museo Romagnolo del Teatro, lo spazio principale contiene le memorie dei Canterini Romagnoli, gruppi corali popolari sorti a partire dal 1910, e deputati all’esecuzione delle “cante”, componimenti a cappella musicati da Cesare Martuzzi e Francesco Balilla Pratella su testi poetici in dialetto romagnolo di Aldo Spallicci ed altri poeti locali. Vi sono conservati spartiti musicali, incisioni discografiche, fotografie, locandine, pubblicazioni, strumenti musicali ed altri documenti che testimoniano l’attività dei Canterini Romagnoli sul territorio. In una piccola saletta attigua è conservato il pianoforte verticale appartenuto a Cesare Martuzzi, insieme ad altri oggetti del compositore.

Cesare Martuzzi (Alfonsine 1885 – Forlì 1960) è da considerare ideatore, insieme ad Aldo Spallicci (Santa Maria Nuova di Bertinoro 1886 – Premilcuore 1973) e a Francesco Balilla Pratella (Lugo 1880 – Ravenna 1955), delle «Cante romagnole», che rappresentano il meglio del patrimonio musicale popolare romagnolo. La loro originale e calda musicalità esprime tutt’ora i sentimenti più semplici e più profondi di tutti gli uomini: l’amore, la natura, il lavoro, la Patria, la nostalgia.

Martuzzi, ricordato anche per aver ideato un nuovo metodo di scrittura musicale “Musicotipia” che semplificava e razionalizzava quello universalmente in uso e per il quale ottenne il brevetto, aveva una concezione della musica che vedeva nel cantante “libero da ogni formula, da ogni convenzione, improvvisare sovente parole e melodia seguendo un concetto personale e un gusto proprio (…) per cui la facoltà creativa del cantore conserva quasi totalmente la sua importanza, nonostante la guida dei canti tradizionali». Così nelle “cante romagnole” sono assenti le “fioriture” (come ad esempio nel canto lirico); inoltre non era previsto l’accompagnamento di strumenti musicali. Nella poetica di Martuzzi, quindi, la canorità romagnola si doveva caratterizzare per sobrietà ed essenzialità; tanto che, tenendo fede al principio per cui la musica si “forma” nel momento in cui viene eseguita ed ogni esecuzione è irripetibile, decise di non pubblicare gli spartiti delle sue opere”.

Dopo aver conseguito nel 1904 a Bologna il diploma di maestro di musica e di canto corale, Martuzzi si trasferì a Forlì che divenne la sua città d’adozione. Qui conobbe il poeta Aldo Spallicci, che gli propose di collaborare alla creazione di canti popolari tradizionali. Dapprima riluttante (Martuzzi non voleva essere classificato come “folclorista”), accettò in seguito di musicare alcune sue poesie in lingua romagnola. La collaborazione, nata nel 1906, si protrasse ininterrottamente fino al 1945 circa. Nel 1910 il musicista e il poeta crearono il primo coro dedicato esclusivamente all’esecuzione di cante romagnole, i “Canterini Romagnoli”. Nello stesso anno Martuzzi compose le musiche della prima Canta romagnola con testo d’autore che si conosca: “La majè” (La maggiolata) su testo di Spallicci, per coro maschile, eseguita per la prima volta a Bertinoro (paese natale di Spallicci) e pubblicata due anni dopo.

Dopo la Prima guerra mondiale Martuzzi avviò una collaborazione altrettanto importante con il musicista futurista lughese Francesco Balilla Pratella. Nel 1922 i due fondarono un coro di Canterini Romagnoli a Lugo (il gruppo è attivo ancora oggi). Negli anni successivi i rapporti con Balilla Pratella si guastarono. In effetti, le Camerate di Lugo, di Massa Lombarda, di Longiano, fondate dal Pratella, facevano concorrenza al gruppo di Forlì fondato da Martuzzi, che protestò vigorosamente col Pratella. In seguito i rapporti tra i due musicisti s’interruppero del tutto per motivi politici: il Pratella aderì al fascismo e le sue Camerate furono favorite nelle sedi più prestigiose ed ottennero gli ingaggi più remunerativi. I Canterini Romagnoli di Forlì, invece, di fede repubblicana, subirono numerose vessazioni dal regime fascista. Furono tacciati di sovversivismo e subirono una disastrosa irruzione squadristica nel 1926, durante la quale furono bruciati spartiti, distrutte suppellettili e sfasciato il pianoforte. Il podestà di Forlì impose al gruppo di cambiare ragione sociale e di prendere il nome di Camerata, come gli altri gruppi esistenti in Romagna.

Solo negli anni del secondo dopoguerra, Martuzzi fondò una nuova corale: la «Scuola Sperimentale di Polifonia», conosciuta come “La Forlivese”, la cui attività cessò nel 1956, pochi anni prima della morte del suo fondatore avvenuta a Forlì nel 1960.
Tra le cante più famose, tutte con testi di Aldo Spallicci, musicate da Martuzzi vanno segnalate: “La majè” (la maggiolata), “La vosta rosa”, “E’ mi paés”, “Dmenga a Cesena”, “A trebb”, “Da Ravaldèn”, “A gramadora”. Due case discografiche, “La voce del padrone” e la “Columbia” incisero su disco diverse sue esecuzioni.
Aldo Spallicci scrisse che Cesare Martuzzi: “Attraverso il suo temperamento di musicista lirico, i ritmi della classica canzone di popolo sono passati come brividi in un’arpa e ne è venuta la “canta nuova”, la canta che parve in sulle prime raccolta dalla viva voce popolare, tanto ne era fedele il senso e la linea, la canta che, appena levata, spiega il cielo e l’anima di Romagna”.

Dello stesso parere fu Francesco Balilla Pratella quando disse che “Martuzzi è stato il primo a ideare e comporre musiche di gusto popolare su poesia dialettale romagnola, riuscendo così a creare un tipo di canzone in coro, che per la sua semplicità, schiettezza, vitalità e fascino si può proclamare come… modello del genere”.
Anche Francesco Balilla Pratella inizialmente si interessò molto ai canti popolari del nostro territorio tanto da fargli comporre cinque poemi sinfonici, intitolati «Romagna», che successivamente approdarono all’opera dialettale La ‘Sina d’Vargõn (Rosellina dei Vergoni), che fu molto apprezzata e anche premiata. Successivamente abbandonò questo campo di interesse e aderì al movimento futurista. Solo dopo la prima esecuzione dell’opera futurista “L’aviatore Dro” e in seguito al sodalizio con Cesare Martuzzi pose le basi per studi sistematici sul folclore romagnolo, fondamentali e pionieristici per l’Italia. I risultati delle sue ricerche furono la base di partenza per l’armonizzazione a cappella, per coro a voci miste (maschili e femminili), dei canti della sua terra. Nel 1920 fu uno dei fondatori, su invito di Aldo Spallicci, della rivista di cultura romagnola “La Piê”, insieme allo scrittore Antonio Beltramelli.

Nel maggio 1922 Pratella creò sull’esempio di Cesare Martuzzi un coro dedicato esclusivamente all’esecuzione di cante romagnole, i “Canterini Romagnoli” di Lugo, attivo ancora oggi. Come autore di cante romagnole, Pratella va ricordato per aver scritto le musiche di: “I cavalér ‘d Frampul”, “La Piê”, “Murosa d’una vòlta” (tutte su versi di Aldo Spallicci), e per aver trascritto la celeberrima “Gli scariolanti”, che insieme a “Romagna Mia” di Secondo Casadei è un altro inno di una Romagna del tempo che fu. Una Romagna che non va dimenticata perché le piccole carriole ricolme di terra spinte dagli uomini, gli scariolanti, appunto, e anche dalle donne, ridisegnarono in sei secoli, a partire dal tardo medioevo, la geografia di un territorio vastissimo: Ravenna prima di tutto, ma anche la bassa Romagna, parte dei territori tra Bologna e Ferrara, fino al Polesine, in un intreccio infinito di fiumi, canali, paludi, acque dolci e salate, zanzare e malaria.

Il 24 novembre 1884 partì un treno da Ravenna con 302 scariolanti guidati da Armando Amuzzi e Nullo Baldini, nomi storici del movimento cooperativo, per bonificare ampie zone del Lazio, dall’Agro Pontino all’Agro Romano. In seguito molti altri partirono per ingrossare la colonia romagnola delle campagne ostiensi e per sostituire i morti. In sette anni gli scariolanti romagnoli bonificarono tremila ettari di terreno tra Castelfusano e Macarrese, terre che oggi sono in buona misura coltivate dagli eredi dei primi bonificatori.

Questa lunga storia costò molte vite e infinite sofferenze e cambiò radicalmente la nostra storia. I braccianti si allontanavano per giorni dalle loro misere case per penetrare in valli insidiose dove essere colpiti dalla malaria era quasi una certezza. Con i loro miseri mezzi, gli scariolanti costruirono faticosamente lunghi argini e modificarono la geografia di una vasta area poco a poco, trasformando l’inferno in paradiso.
Il Coro Città di Forlì, sotto la direzione di Nella Servadei Cioja (Forlì 1941 – 2019), dal 1977 ha proposto per oltre 40 anni e in centinaia di concerti a Forlì, in Romagna, in Italia e all’estero le numerose “cante romagnole”, che rimangono nel repertorio del gruppo corale anche dopo che la direzione è stata assunta da Omar Brui alla fine del 2018.