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Il ritorno di Benito al tempo di Alea

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Alla fine, in alto loco, anzi no, in supremo cielo perché di spazio eterno ed infinito trattasi, oltre il quale nulla esiste, lo hanno di nuovo accontentato, tornasse ancora in terra tra gli uomini, però ad alcune condizioni imprescindibili: niente protagonismi nostalgici col pericolo, senza volerlo, di finire in un altro film, come il recente “Sono tornato” di Luca Miniero, e neppure spunti provocatori, polemici con l’attualità italiana contro i migranti e i neri, magari atterrando nuovamente in un quartiere multietnico come l’Esquilino di Roma.
In fondo, se in terra si concede la semilibertà ai carcerati, perché negare ad un’anima di lenire il proprio supplizio ultraterreno con un breve ritorno in terra?
L’Essere Perfettissimo, lo stesso del libretto di catechismo che tuttora conservo, è stato categorico, anche duro:

– Per evitare che tu faccia danni, solo 24 ore in terra e solo a Predappio, il tuo paese natio, tra la tua gente; quindi, ora sono le 19,00 del terreno mercoledì 22 agosto 2018 e tu devi rientrare alla stessa ora di domani, giovedì 23 agosto, non fare il furbo, altrimenti ti levo la sete con le fiamme dell’inferno! Ancora una cosa: niente divisa fascista da caporal maggiore d’onore della milizia, ma, vista la terrena stagione estiva, solo un pantalone chiaro, camicia bianca ed un berretto con visiera per nascondere la tua nota “pelata”, quasi lo stesso abbigliamento del 20 agosto ‘36 per l’inaugurazione del villaggio rurale di San Savino, fraz. di Predappio. A proposito, ti farò spuntare una barba incolta di almeno una settimana, giusto per “ombreggiare” un po’ la tua mascella inconfondibile ed il tuo mento volitivo. Adesso vai, non perdere tempo! –
Poi, mentre si calca un berretto in capo, un vento improvviso rapisce l’anima in semilibertà e via giù di brutto verso la terra: oplà, ora sotto i piedi un appoggio saldo, sicuro, gli occhi si aprono ed ecco, sì, è proprio lì, venendo da Forlì, all’inizio di viale Benito Mussolini, la via centrale di Predappio, intitolatagli dai paesani di Dovia in occasione della sua prima visita da Primo Ministro il 15 aprile 1923.

L’emozione lo assale dinanzi alla prospettiva del viale in corsa verso la grande Chiesa di S. Antonio, ma la deglutisce con forza, ritrovando tutti i tetti della nuova Predappio che lui ha voluto per strappare la sua gente alle casupole marce di Predappio Alta, sospese su una frana vigliacca.
Vorrebbe correre subito dai suoi nella cripta per baciare il loro riposo eterno, ma un briciolo di vanità terrena lo frena, così col nodo alla gola sfila davanti a Casa Becker, all’Asilo Santa Rosa, al ricordo del mercato ambulante nell’anfiteatro del Mercato dei Viveri; soffoca il pianto nello sguardo alla sua casa natale e alle bottega di fabbro del padre nei pressi dell’attuale ristorante “Il Moro”; si compiace della sede dell’ex Credito Romagnolo, della palazzina della Caproni Aeronautica e delle opposte case popolari. Poi, più avanti, un giro d’occhi tra le Poste, la Casa del Fascio, Palazzo Varano e la Chiesa di S. Antonio, unito ad un pensiero mesto, senza presunzione: “forse ho sbagliato, eppure qualcosa di utile, qui e altrove, l’ho fatto, perché negarlo?”

Una cosa, però, lo colpisce, non c’è un’anima, pardon, un cane in giro per Predappio, dove mai saranno tutti?
Lo soccorre un vecchio “omarino” simpatico, seduto al fresco su una panchina, consumando un toscano tra volute azzurrine di fumo:

– Signore, se cerca qualcuno, dia retta, vada al teatro comunale, stasera i capoccia del Comune e i predappiesi sono lì a discutere della nuova raccolta rifiuti: ogni famiglia diversi bidoni di vario colore, ciascuno per un tipo di spazzatura.

– E, a questo punto, alzandosi di slancio dalla panchina, il sagace “omarino” descrive un ampio semicerchio con un braccio:

– Se lo immagina, lei, questo viale con tutti i bidoni multicolori davanti alle porte delle case, in attesa della raccolta. Questo è un viale monumentale, eppure vogliono farne un sito provvisorio di “rusco”! Va là, va là, mi creda, sono tutte “pugnette”, spacciate nell’interesse dei cittadini, in realtà solo vantaggiose per la società che gestisce i rifiuti e vuole risparmiare tempo e fatica!-

L’uomo s’interrompe e si avvicina, alzando l’indice verso il nuovo venuto:

– Eppure, lei ha un volto che mi ricorda qualcuno, ce l’ho sulla punta della lingua, ma non mi viene. Boh, non importa, venga l’accompagno al teatro, vedrà che spettacolo!-
Lui lo segue, avrebbe voluto dirgli:

– Sono Benito, il figlio del Sandro e della Rosina.-, ma che senso avrebbe dopo tutto quello che è successo?
Lo segue docile fino al teatro, neppure è entrato che già sente il chiasso di una bolgia che grida e protesta. Siede su un’ultima fila accanto allo spigoloso “omarino” che di tanto in tanto, curioso, lo guarda in tralice.
– Scusi, chi è quello che parla?-
– Non lo conosce, allora lei non è predappiese? E’ il sindaco,- e quasi avvicinandosi per sussurrare all’orecchio del nuovo venuto – è un comunista o postcomunista, che dir si voglia, che gioca a fare il ducetto, lui è tutto, il pro e il contro, ma questo non sorprende, gli estremi si toccano, e qui dalla fine della guerra, sono ormai più di 70 anni, neri o rossi sono la stessa zuppa. Io a 89 anni resto repubblicano. In questo paese la coerenza non è una virtù, d’altronde anche Benito prima era stato compagno, poi “in te fioc” diventò camerata. O sbaglio?

– e qui l’”omarino” lo guarda con una punta di malizia.
Intanto, la canea chiassosa dei cittadini in assemblea col sindaco non conclude niente, tutto gira attorno a questa storia di bidoni e bidoncini.
Il nuovo arrivato fissa il suo accompagnatore:

– Sa, cosa mancano oggi? Le palle, gli attributi ovvero le capacità e l’autorevolezza che ne deriva. Su questa storia il caro Pietro Baccanelli avrebbe chiuso presto e bene, accontentando tutti. Altra pasta! Pensi, un tempo si serviva la patria, facendo la guardia ad un bidone di benzina, oggi a Predappio si serve il comune separando la monnezza in diversi bidoni!-
– Ecco, ho capito chi è lei, ma non si preoccupi, sarò una tomba, zitto e mosca! Venga, andiamo a casa mia, tanto qui è vigna che non fa uva.-
Escono fuori nell’aria fresca della Valle del Rabbi e s’incamminano sino a raggiungere una delle case ultraeconomiche, le cosiddette “case di paglia”.
– Ecco abito qui, ci sto bene e non chiedo altro. Non sarà una reggia, ma regge bene il tempo, mentre altrove cadono ponti degli anni sessanta.-
– Ho saputo, se n’è parlato anche su da me. Che tragedia!-
– Tenga, beva un sorso, le farà bene. Si distenda un po’, lei è stanco.-
Così, il nuovo arrivato si addormenta profondamente sino all’arrivo del vento improvviso che di nuovo lo rapisce e lo riporta nel cielo supremo.