statistiche siti
4live Logo 4live Logo

Leggilo in 11 minuto

Franco Pistoni alias ‘Lo iettatore’ di “Avanti un altro” si racconta

img of Franco Pistoni alias ‘Lo iettatore’ di “Avanti un altro” si racconta
Ultimo aggiornamento:

FRANCO PISTONI ALIAS “LO IETTATORE” DI AVANTI UN ALTRO SI RACCONTA foto: Mariangela Del Grande.

FRANCO PISTONI ALIAS “LO IETTATORE” DI AVANTI UN ALTRO SI RACCONTA. foto: Mariangela Del Grande

L’artista Franco Pistoni, meglio conosciuto al grande pubblico con il nome del personaggio lo “Iettatore” all’interno del Salottino del programma televisivo di Canale 5 “Avanti un altro” vanta un background artistico di grande prestigio. Dalla personalità eclettica e poliedrica Franco Pistoni è attore, regista, musicista, scrittore e volto televisivo noto nelle vesti di un personaggio molto singolare e caratteristico, quale è lo Iettatore appunto. E’ durante la mia partecipazione al programma televisivo “Avanti un altro” condotto da Paolo Bonolis in collaborazione con Luca Laurenti che ho potuto scoprire tutte le arti nelle quali Pistoni si è espresso. La figura dello Iettatore che così magistralmente interpreta Franco Pistoni si rifà e prende spunto dalla grande interpretazione di Totò nel film “Questa è la vita”, film del 1954 composto di 4 racconti e lo Iettatore compare nel racconto”La patente”. “La patente” a sua volta è una novella scritta e pubblicata da Luigi Pirandello nel 1911. Protagonista della novella è Rosario Chiàrchiaro, un uomo scacciato dal banco dei pegni per essere stato considerato uno Iettatore. I superstiziosi temono talmente tanto gli influssi della malasorte emanata dallo Iettatore che, al suo passaggio, fanno i più svariati segni scaramantici: toccano il ferro, fanno il gesto delle corna ed altri gesti ancora.

Dunque il personaggio dello Iettatore seppure all’interno di un programma televisivo dallo spirito ludico e leggero, ma che vanta milioni e milioni di telespettatori ed il cui format è stato venduto in moltissimi Paesi stranieri, risulta essere un personaggio di spessore sul piano artistico. Originario di Rieti, dove è nato il 6 marzo del 1956, Pistoni fin da giovanissimo ha calcato i palchi teatrali. Ha poi collaborato, tra gli altri, con registi del calibro di Julian Beck, Marco Baliani, Giorgio Barberio Corsetti, Mario Martone e con la Socìetas Raffaello Sanzio di Romeo Castellucci, dove inoltre ha ricevuto tre nomination per il Premio Ubu. Fra le sue esperienze teatrali e cinematografiche spicca, fra tutte, la sua partecipazione al film “Il nome della Rosa” tratto dal best sellers di Umbero Eco, dove Pistoni interpreta il ruolo di uno dei Frati Benedettini e recita accanto al grandissimo Sean Connery e all’attore statunitense Christian Michael Slater, che all’epoca era giovanissimo. Successivamente ha lavorato con registi quali: Bertolucci, Magni, Chiesa, Garrone, Troisi, Baricco, Manfredonia. Poi anche in televisione ha realizzato delle partecipazioni importanti, quali quelle nella serie seguitissima di “Don Matteo” e “Rino Gaetano. Ma il cielo è sempre più blu” ed altre ancora. E’ stato anche più volte premiato con riconoscimenti e premi di qualità, quali quello ricevuto al 45º Festival Internazionale del Film di Locarno. Dopo di questo ha ricevuto il premio “Jury des Jeunes” per l’interpretazione da protagonista, nel film “’Confortorio”’ di Paolo Benvenuti. Poi ha ricevuto il Premio”Genova Film Festival” 2002 con “Foglie di cemento”di Fabio Sonzogni, poi ancora il Premio Flaiano 2002 al Festival internazionale “Scrittura e Immagine” a Pescara. Poi ancora il Premio Rassegna Internazionale Cinecittà Studios “Corto Anch’io” Roma 2003, poi il Premio “Prima Aziz” Palermo 2003, Miglior Attore Protagonista VI edizione “Arrivano i Corti” – Montelanico – Roma 2003 e il Premio “Corto da Sogni” Ravenna 2003.

Ora io mi rivolgo direttamente a Franco Pistoni perché mi approfondisca in prima persona alcuni aspetti della sua personalità poliedrica. Innanzitutto complimenti per tutto quello che lei ha realizzato finora in campo artistico e poi La ringrazio per la sua disponibilità a raccontarmi un poco di sè. Inizio con la domanda più diretta: fra teatro, cinema, televisione a quale assegnerebbe la medaglia d’oro, vale a dire il podio, e poi in successione a chi assegnerebbe la medaglia d’argento e a seguire quella di bronzo, aggiungendomi anche le motivazioni?

«Differenze ‘tecniche’ ce ne sono, certo, ma, onestamente, non mi sento di assegnare medaglie, ormai. Nel gran calderone confuso di quest’epoca, mi accontento di trovare una situazione di qualità ovunque mi trovo a svolgere il mio mestiere, anche se, il mio interesse primario resta il Teatro, ma quello delle origini, dove non esisteva la ‘vanità del mostrarsi’ ma una seria disciplina che rasentava la ‘sacralità’. Non esiste più, oggi».

Non posso non chiederle un ricordo particolare o anche un’impressione ricevuta dalla stretta vicinanza con un mostro sacro del cinema quale è stato ed ancora lo è Sean Connery.

«Era il mio primo passo nel mondo cinematografico e mi colpì molto, impaurito com’ero, la padronanza assoluta e la sicurezza dovuta alla grande esperienza di Connery. Io passavo la notte insonne preoccupatissimo, ero agitato, insicuro e poi mi trovavo dinanzi a questa straordinaria presenza scenica. Una grande scuola, una grandissima esperienza, sebbene, poi, nel tempo, ho avuto modo di trovarmi a fianco di altrettanti giganteschi padroni del mestiere come Mastroianni, Giannini, Gasmann. Questo è un mestiere dove si tenta di ‘rubare’ l’essenza attoriale altrui per arricchire la propria, in una sorta di alchimia interiore».

La sua fisicità la porta ad indossare, sulle scene, vesti lunghe e di colore scuro, vesti cupe come per lo iettatore in televisione o per il Monaco Benedettino al cinema. Pensa forse che parte della sua fortuna sia dovuta anche alla sua avvenenza all’incontrario, o meglio ai tratti scarni e ossuti del suo volto?

«No, in quaranta e più film girati, non ho sempre indossato ‘vesti lunghe ed oscure’, ho avuto anche il dono di incontrare registi intelligenti che hanno saputo valutare la ‘qualità’ del mio recitare, indipendentemente da ciò che lei chiama la mia ‘avvenenza all’incontrario’. Che poi sia pieno di imbecilli che si soffermano solo sulla ‘quantità’ è innegabile e ampiamente dimostrato dalla decadenza di quest’epoca».

E quindi sarò banale ma lei cambierebbe la sua fisicità con quella di Daniel Nilsson, il Bonus di Avanti un altro, con il quale mi pare che lei sia anche amico?

«A sedici anni, forse, nell’insicurezza adolescenziale, si vorrebbe essere come pretendono i canoni stupidi della moda. Nel mio giardino ho un piccolo bosco la cui bellezza è dovuta proprio alla diversità degli alberi che ci sono. Di tutte le misure, di tutte le altezze, differenti ma sempre alberi. Sto benissimo con me stesso, dentro me stesso ed ognuno è come è, esternamente, ma non è certo questo l’importante, se si è liberi dalla superficialità delle mode e dei pregiudizi. Si, siamo molto amici con Daniel e, la bellezza di questo affetto risiede proprio nella difficoltà di parlare: lui conosce pochissimo l’italiano ed io per nulla lo svedese, eppure, ci comprendiamo con uno sguardo. Non è meraviglioso questo? Non travalica tutte le sciocchezze sulla presunta ‘diversità’ quando siamo, tutti, semplicemente, esseri umani su un pianetino che vaga nel vuoto dell’Infinito»?

In televisione lei fa parte del Minimondo di Paolo Bonolis, ricoprendo il ruolo dello Iettatore che già fu dell’egregio Totò. Lei che rapporto ha con la morte, intendo dire quella vera, quella che aspetta ciascuno di noi, prima o poi nella vita? Il ruolo da lei interpretato la aiuta un poco ad esorcizzarla? 

«In realtà, il mio personaggio, non ha nulla a che vedere con la morte, poi, lentamente, è scivolato verso questo versante che, in fondo, non gli apparteneva e ciò mi ha portato a pensare, nel tempo, che, la gente, considera la Morte come la ‘sfiga’ più pesante. Non a caso, parlando con Laurenti, autore dello stacchetto ‘Ricordati che devi morire’, abbiamo discusso, trovandoci d’accordo, proprio su queste tematiche sul senso del suo piccolo brano che non è stato composto ‘a caso’ da Luca, ma anzi, con il senso più profondo della locuzione latina ‘Respice post te. Hominem te memento» (“Guarda dietro a te. Ricordati che sei un uomo”) da cui deriva: ‘Memento mori’. Il discorso è difficile da racchiudere in poche righe. Ecco, la mattina, generalmente, noi indossiamo un altro abito lasciando il precedente nell’armadio: questa è la Morte. Lasciare un abito, il nostro corpo fisico, per andare ad indossarne un altro. La morte, non esiste, è solo un varco verso un’altra dimensione, abbandoniamo il corpo che ci racchiude per indossarne un altro».

Lei mi conferma che voi personaggi del Minimondo di Avanti un altro vi sentite un poco come parte di una grande famiglia, dove Paolo Bonolis è il patriarca?

«Dopo sette anni e più di mille puntate fatte, sarebbe impossibile non accadesse ciò, soprattutto per chi è in scena dall’inizio. Lentamente, è inevitabile, si approfondiscono i rapporti, le simpatie e le antipatie ma, non dimentichiamo mai che è soprattutto un mestiere che, anche se ci fa condividere mesi e mesi insieme, prima o poi, finirà ed è legge, nel nostro mestiere, essere continuamente nomadi, zingari senza sede che si accamperanno in nuovi territori, in nuovi villaggi».

Quale è, secondo il suo parere, il pubblico più attento e appassionato fra il pubblico teatrale, cinematografico e televisivo?

«Senza offesa, ma, oggi come oggi, sia il Teatro, sia il Cinema, non hanno più pubblico. Esiste solo il ‘pubblico’ televisivo. Sarebbe noiosa, ora, un’analisi di ciò, però mi piace ricordare una frase di Battiato che, a mio parere, la dice lunga sulla faccenda e su questo periodo culturale: ‘Non mi interessa sentirmi intelligente guardando in tv dei cretini, preferirei sentirmi un cretino di fronte a persone eccellenti’».

Mi darebbe gentilmente una sua definizione di Arte. Cosa è e cosa significa fare Arte nei giorni nostri per Franco Pistoni?

«L’Arte, originariamente’ non era un mezzo ma, piuttosto, uno scopo. Anticamente preservava e trasmetteva una certa conoscenza. Aveva il doppio scopo di studio e di sviluppo. Oggi, sottobraccio alla decadenza morale e culturale, ovviamente non è più utilizzata per questi scopi. “Mala Tempora currunt sed peiora parantur”, diceva Cicerone».

Quanto la cultura è necessaria alla formazione artistica secondo il suo parere?

«La ‘cultura’, un certo tipo di cultura, è necessaria ovunque. Nel mio campo, poi, se si considera che per studiare il pianoforte occorrono dieci anni di conservatorio, ad esempio, diventa inaccettabile che si possa diventare ‘artisti’ solo perché si pubblica un video goliardico su youtube e si viene idolatrati da masse di persone. Mi fa paura».

Poi c’è anche un Franco Pistoni musicista, nel ruolo di bassista e contrabbassista. Ecco la Musica, allora penso se potrebbero esistere teatro, cinema e televisione senza la Musica? So che la domanda potrà apparire scontata, poi però penso al cinema muto. Quale è la tua opinione al riguardo? 

«Certamente si: sono tutte discipline che possono vivere sia in alchemica unione sia, ognuna, per proprio conto».

Poi c’è anche un Franco Pistoni scrittore e poeta che ha pubblicato 4 libri di poesia (L’acustica del Mar Egeo, Emporio di Razza, Risonanze di Costola e Delle Nuvole ogni Sera, Resiste) . Potrebbe esistere secondo lei un mondo senza poesia? Le chiedo questo perché i libri di poesie vendono poco o nulla e però al tempo stesso i poeti non possono fare a meno di scrivere e anche di pubblicare poesie. Quindi dove è il meccanismo sbagliato all’interno di questa equazione?

«Diceva Benedetto Croce: “Fino a diciotto anni tutti scrivono poesie; dopo, possono continuare a farlo solo due categorie di persone: i poeti e i cretini”. E questo per dire che non è la rima tra ‘cuore e amore’ a rendere uno scritto ‘poetico’. Dall’altra c’è il declino della scuola, degli insegnamenti, anche dei testi della musica di oggi, ecc. L’analisi richiederebbe più spazio».

Cosa procura maggiore soddisfazione per Lei? Un programma televisivo ludico seguito da milioni di spettatori oppure una piece teatrale, magari scritta proprio da Pirandello, ma con la sala semi vuota?

«In casa non ho televisori e da molto non frequento spettacoli teatrali, nonostante, (comprendo l’apparente contraddizione), poi, sia il terreno del mio mestiere. Mi è capitato di recitare in Teatro in serate in cui gli attori in scena erano più numerosi del pubblico in sala. Sono domande molto acute, ma, proprio per questo non si può essere superficiali e, mea culpa, non sono capace di essere sintetico su queste tematiche perché investono, praticamente, le vicende socio/politico/culturali di questa nostra epoca».

Innanzitutto la ringrazio per la sua disponibilità. Quali sono i suoi prossimi progetti ancora chiusi nei cassetti?

«Ovviamente sono io che ringrazio per l’interessamento nei miei riguardi. In fondo sono un ‘incantatore incantato’, ma fondamentalmente pigro, per cui, progetti moltissimi, appunti su decine di taccuini, idee improvvise, soprattutto con mia figlia Chandra appena laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo, poi, torno a casa, tra i miei alberi, con i miei gatti e, in una mimesi stilizzata, mi perdo nei segreti trascritti nei tramonti. Vado verso l’imbrunire ed ora, per me, è Tempo di altri progetti…».

Rosetta Savelli