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Quando Ravenna era Capitale

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Capitale della Romagna? Potrà chiedersi qualcuno, no, capitale dell’Impero Romano d’Occidente, anche se ormai avviato verso un lento ma inesorabile declino.
Nell’anno 402 Onorio, figlio di Teodosio (l’imperatore che aveva fatto della religione Cristiana la religione di Stato), preoccupato per il concreto rischio di invasioni barbariche provenienti dal nord, decise di trasferire la capitale dell’Impero Romano d’Occidente da Milano a Ravenna.

Ravenna, modesta città periferica (pur con una già lunga tradizione) era protetta a nord dalle valli di Comacchio e nel suo porto ospitava la potente flotta militare dell’Adriatico, molto utile in caso di fuga. Tale flotta garantiva anche i contatti con Costantinopoli, capitale della parte orientale dell’Impero Romano (ormai definitivamente diviso). L’elevazione al rango di capitale fece di Ravenna una città ricca di monumenti che si aggiunsero ai pochi preesistenti. La città fu ampliata ed in particolare fu aggiunta un’area destinata alla residenza imperiale: la Domus Augustea. In tale area, oltre al palazzo dell’Imperatore (ora perduto) fu costruita una nuova chiesa, la più monumentale di Ravenna, la chiesa di Santa Croce (di cui sono rimaste solo poche tracce) collegata, attraverso un porticato, al Mausoleo di Galla Placidia.

Questo piccolo edificio, con pianta a croce latina, perfettamente conservato grazie ai frequenti restauri, è sicuramente il principale gioiello dell’arte paleocristiana in Romagna. L’esterno è semplice, senza decorazioni, senza marmi, con arcate in mattoni a vista e coi tetti a spioventi che mascherano le volte e la cupola. Ma l’interno è una esplosione di mosaici dai colori brillanti che, a partire dall’alto zoccolo in prezioso marmo paglierino, rivestono volte, cupola, lunette con un ampio repertorio di motivi decorativi e figurativi. Questo contrasto non è casuale ma rispecchia l’orientamento del Vescovo Neone che voleva, in tale maniera, simboleggiare l’ideale del perfetto cristiano, esteriormente umile ma con una grande ricchezza interiore illuminata dalla luce della fede.

Galla Placidia, sorella di Onorio e moglie di Costanzo III (entrambi imperatori) fu certamente il personaggio più importante della corte ravennate anche perché, dopo la morte di Onorio e la prematura morte del marito, guidò a lungo l’Impero quale reggente del figlio Valentiniano che aveva acquisito il diritto alla successione all’età soli sei anni.

Fu lei che volle l’edificazione del mausoleo, nel quale fece collocare tre sarcofagi in marmo: uno per il fratello, uno per il marito ed uno per se, anche se lei probabilmente non vi fu mai sepolta perché morì a Roma e si ritiene venisse tumulata in una cappella nei sotterranei di S. Pietro. Non ci sono però documenti certi e qualcuno ipotizza che la salma imbalsamata venisse portata a Ravenna. Qualche studioso inoltre ritiene che il monumento non fosse nato come mausoleo ma come martyrium. Lasciamo comunque agli storici la risposta a questi interrogativi che nulla tolgono o aggiungono alla bellezza ed all’importanza dell’opera.

Probabilmente alla stessa Imperatrice si deve anche la costruzione della chiesa di Santa Croce a cui il mausoleo era collegato. Il mausoleo appare oggi interrato di circa un metro e mezzo per effetto della subsidenza determinata dalla natura del terreno. Di questo erano perfettamente consapevoli i costruttori che non realizzarono quindi volte e cupola in calcestruzzo massiccio, come facevano normalmente gli architetti della Roma imperiale. Le volte e la cupola del mausoleo furono edificate utilizzando tubi fittili (in terracotta) e sottili anfore, incastrate le une nelle altre a formare anelli leggeri uniti fra loro da malta cementizia. Siccome però queste strutture erano più fragili delle volte tradizionali, all’esterno furono protette con tetti a spioventi sostenuti da robuste travi e coperti con tegole in terracotta.

Passiamo ora ad esaminare l’interno dove la luce rosata che filtra dalle finestre, chiuse con sottili lastre di prezioso alabastro, illumina i mosaici magistralmente realizzati con tessere di vetro colorato dove predominano le tonalità del blu sia nella cupola punteggiata dall’oro delle 99 stelle con al centro la croce ed i quattro simboli degli evangelisti alla base (sui pennacchi) sia nelle quattro volte dove, sullo sfondo blu, si stagliano classici tralci a spirale e fiori stilizzati dai toni chiari o dorati.

Particolarmente bella è la lunetta che sovrasta la porta d’accesso e che rappresenta Cristo Buon Pastore, la più antica forma di rappresentazione di Cristo (la crocifissione comparirà solo nell’alto medioevo). La figura di Cristo, giovane, senza barba, morbidamente seduto al centro della lunetta, con una grande croce dorata in una mano, accarezza una delle sei pecore bianche, rese di scorcio, chiaroscurate e circondate da cespugli verdi e spigoli di roccia ma con lo sguardo rivolto verso il Salvatore. Siamo ancora lontani dalla stilizzazione simbolica delle forme che ritroveremo nei mosaici bizantini. Anche nelle quattro lunette alla base della cupola i Santi e gli Apostoli con le braccia alzate in adorazione della croce non sono forme idealizzate ma personaggi togati resi plasticamente e la cui ombra si proietta sul piano.

L’uso della decorazione a mosaico sulle pareti viene introdotto nell’arte romana solo nel periodo paleocristiano. Nei secoli precedenti il mosaico veniva impiegato solo nei magnifici pavimenti delle ville o nelle fontane dei giardini ed era realizzato con tessere in marmo colorato. Tale nuova utilizzazione del mosaico non è un fatto casuale ma il frutto di una scelta ben precisa.

I Cristiani non chiedevano più alle decorazioni parietali la ricchezza dei dettagli tipici delle pitture classiche greche e romane ma immagini dai contorni netti, visibili da lontano e che con la luminosità riflessa dalle tessere in vetro esaltassero la spiritualità delle immagini sacre. Galla Placidia fece anche costruire, quale ex voto per essere scampata ad un naufragio mentre tornava da Costantinopoli, la basilica di S. Giovanni Evangelista, parzialmente danneggiata durante la guerra (perché vicina alla stazione) ed ora restaurata. Nella stessa area del mausoleo i Bizantini, dopo la conquista di Ravenna, costruirono la stupenda chiesa di S. Vitale.

Umberto Giordano