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A San Martino in Villafranca torna “Pesche in festa”

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Ultimo aggiornamento:

Giovedì 16 luglio, alle ore 19,00, nell’area antistante la Chiesa di San Martino in Villafranca, si svolgerà la prima serata della manifestazione “Pesche in festa“, organizzata dall’associazione culturale “San Martén” e dal locale comitato di quartiere con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, della Provincia di Forlì-Cesena e del Comune di Forlì, assessorato alla Partecipazione.

L’iniziativa, giunta alla quarta edizione, proseguirà fino a domenica 19 luglio con un programma diverso per ogni serata, rimanendo inalterato l’obiettivo di fondo che gli organizzatori si sono dati e cioè quello di valorizzare la produzione della pesca romagnola nelle sue diverse qualità. Per questo sono state coinvolte le aziende agricole del territorio che avranno la possibilità di esporre le diverse pesche che producono, così come altri prodotti. Nell’area della festa sarà attivo uno spazio dedicato ai bambini con laboratori e attività varie, mentre l’Associazione Culturale ” Gli amici del Plaustro” allestirà le mostre sulla filiera del baco da seta e della canapa.
Durante il corso della prima serata il programma prevede una cena a tema con menù romagnolo (per informazioni e prenotazioni Gemma 3408623337 – Chiara 3488756329), successivamente il saluto delle autorità, introdotte da Gabriele Zelli, la premiazione della pesca più buona selezionata da una qualificata giuria e il concerto del Trio Iftode: “Da Carlo Brighi (Zaclen) a Secondo Casadei, la musica continua”, che vedrà la partecipazione di Riccarda Casadei.

Risale al 1924 la pubblicazione del sussidiario “Romagna”, curato da Icilio Missiroli, per gli alunni “dalla terza alla quinta” elementare. La struttura di queste pubblicazioni era stabilita da un’ordinanza ministeriale relativa ai programmi che prescriveva: “Sarà un almanacco illustrato, contenente, oltre al calendario storico nazionale, un cenno delle feste, delle fiere, dei mercati della regione, con intercalati cenni di geografia economica regionale, descrizione di piccoli viaggi, racconti vari tolti dalla tradizione locale, poesie dialettali riferentesi alla regione, proverbi e consigli di propaganda sanitaria, pagine di notizie utili, tariffe postali e telegrafiche…”. Leggere queste indicazioni oggi nell’era di Internet, Facebook e Twitter fa per lo meno sorridere, ma nel contempo ci fa capire che quello di novant’anni fa era veramente un altro mondo. Nella parte dedicata al lavoro dei campi il sussidiario fotografa con precisione il ruolo molto marginale che in ambito economico aveva nelle nostre zone la frutticoltura.

Se si scorre l’elenco dei lavori agricoli da eseguire nei frutteti nei mesi di giugno, luglio e agosto si trovano solo queste indicazioni: “Si faccia uso della poltiglia bordolese per combattere diverse malattie crittogamiche” in relazione a giugno e per il mese successivo: “Si lotti energicamente contro gli insetti dannosi. Si diradino i frutti troppo carichi“. Anche per il mese di agosto si pone l’accento sulla necessità di “combattere l’invasione delle formiche usando un anello da applicarsi attorno al tronco, spalmato di vischio e un po’ di trementina. È il tempo opportuno per eseguire innesti a scudo o a gemma dormiente“. Sono tutti consigli indicati per piante da frutto che arrivano a maturazione nel periodo autunnale, oppure per i filari delle viti o i vigneti. D’altra parte la Romagna è sempre stata rinomata per la produzione di alcuni vini come l’Albana e il Sangiovese, anche se in passato le varie qualità di uva venivano usate in modi diversi rispetto ai nostri tempi; si faceva un gran consumo di uva da mangiare con il pane, inoltre veniva conservata a grappoli appesi al soffitto per essere consumata nel periodo invernale.

E al momento della pigiatura e delle successive lavorazioni tutto veniva sfruttato accuratamente, cosi come avveniva in occasione di altre lavorazioni. Dopo aver tolto dal tino il vino il mosto veniva spremuto con il torchio, mentre con una parte si riempiva il paiolo e lo si appendeva alla catena del camino con il fuoco sotto. Bolliva a lungo e così l’acqua evaporava e rimaneva l’alcol, dopo di che si aggiungeva la frutta più dura poi, dopo che aveva bollito ancora un po’, si aggiungeva la più tenera tagliata a fettine, inoltre bucce di melone seccate nel periodo in cui veniva consumato e mele cotogne.

Per completare il tutto e produrre una sorta di dolce “e’ Savôr”, di cui erano golosi adulti e ragazzi, lo assopivano con farina di granturco setacciata o di grano e poi lo facevano nuovamente bollire fino a quando non si trasformava in un prodotto solido come il migliaccio di colore marrone scuro Uno scenario totalmente diverso avviene nel breve volgere di qualche decennio, perché a fianco delle produzioni agricole tradizionali si iniziarono a coltivare a scopo commerciale, quindi in maniera intensiva: fragole, pesche, albicocche, ciliegie, mele, pere, ecc., così come avviene tutt’ora, cosa che da valore aggiunto all’economia agricola. Non a caso le province di Forlì – Cesena e Ravenna sono la principale area produttiva peschicola nazionale.

Proviene dalle nostre parti il 60% delle nettarine e il 30 % delle altre pesche italiane; un prodotto apprezzato per il gusto dolce e la succosità, dovuta all’elevato contenuto di acqua che lo rende dissetante e costituisce un ottimo reintegratore naturale di sali minerali. È da considerarsi la frutta estiva per eccellenza. L’estendersi delle coltivazioni aveva come presupposto anche una proposta legata all’alimentazione dell’uomo ponendo il consumo di frutta come elemento importante soprattutto per la crescita dei bambini. Allo stato attuale una scarsa educazione alimentare da una parte e il peso della crisi economica dall’altra hanno relegato quasi in secondo piano questo aspetto con conseguenze sempre più negative in campo medico e sociale.

Iniziative come “Pesche in festa” di San Martino in Villafranca hanno pertanto uno scopo molto importante per promuovere il consumo di frutta fresca in generale e in particolare del prezioso frutto del pesco nell’alimentazione di tutti i giorni. In questi ultimi anni si è riscoperto il ricettario di Pellegrino Artusi che è ancora di grande attualità per quanto riguarda l’arte del cucinare e mangiare bene. Ovviamente concordo, ma dobbiamo essere consapevoli che ha un limite dettato dal fatto che è stato predisposto quando la qualità e i ritmi della vita richiedevano piatti molto sostanziosi, capaci di dare energia soprattutto a chi svolgeva duri lavori manuali. Non che sia sparita questa categoria di occupati, ma se il manuale di cucina più famoso al mondo venisse scritto oggi il consumo di frutta avrebbe un ruolo più importante, in particolare proprio la pesca che giustamente San Martino in Villafranca celebra da alcuni anni a questa parte.

Gabriele Zelli