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Il Porto Canale come luogo della memoria di Cesenatico

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La mostra “La marineria di Cesenatico – Storia di uomini e barche” voluta dalla Cooperativa Casa del Pescatore (presidente Arnaldo Rossi, segretario Mario Drudi), rimasta allestita per diversi mesi tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 nel Museo della Marineria, ha contribuito a narrare le vicende della marineria e della pesca, degli scafi e del porto in 230 immagini, a partire dagli anni Trenta del secolo scorso a oggi.

La documentazione fotografica va analizzata approfonditamente in quanto rappresenta uno straordinario viaggio nella memoria dell’intera Cesenatico. La memoria storica, culturale, umana di un paese va sempre alimentata, sostenuta e incoraggiata per salvaguardare, per non dimenticare. Un po’ come il nastro trasportatore dei bagagli all’aeroporto. Il viaggio della memoria, o delle memorie, è molto simile a quello che fa una valigia sul nastro trasportatore. Proprio come le valigie e le borse, le memorie dei cittadini, di tutti noi e di quelli che c’erano prima di noi, vengono caricate dagli studiosi, messe in movimento e poi spariscono lungo tunnel misteriosi, ricompaiono, compiono alcuni tratti dritti, traiettorie e curve visibili o segrete: se non le afferriamo al volo tornano a sparire per riaffiorare in un altro punto.

La mostra di Cesenatico è riaffiorata dall’archivio della Cooperativa e dalle case dei soci dove erano conservate centinaia di immagini. Quello che colpisce di più guardando quelle foto è il fatto che attorno ai pescatori che rientrano da una battuta di pesca (rarissime sono le immagini della partenza che avveniva e avviene tuttora in orari molto mattutini) e ormeggiano le barche lungo il Porto Canale si è articolata nel corso del tempo una vita, non solo economica, e quindi anche sociale, storica, culturale, tanto che il Porto Canale di Cesenatico ha svolto e svolge a tutti gli effetti il ruolo che in altri paesi è svolto dalle piazze.

“Villaggio e borgo” sono, per il vocabolario Zanichelli, sinonimi di “paese”. E ogni paese ha una sua piazza principale. Storici e urbanisti concordano sul fatto che “l’Italia è il paese in cui la piazza, in maniera più durevole e tipica, si è espressa in tutta la molteplicità delle sue forme storiche”. La piazza richiama subito la vita di piazza, quest’ultima, oggi, la più depauperata, impoverita e a rischio, per una serie di fattori negativi tra cui il fatto che son venuti meno i mestieri continuativi sostituiti dai mestieri a tempo determinato. Al tempo stesso aumentano un po’ ovunque le vetrine vuote, nel venir meno delle forme tradizionali della socialità e nel trasformarsi del commercio e dei modi e dei luoghi dello stare insieme.
Alcuni sostengono che la piazza oggi non c’è più perché ora ci sono la TV, i social network, Facebook, Twitter: in sostanza una nuova piazza (o più piazze) virtuale e telematica altrettanto ricca di immagini, mercanti, imbonitori come in quella antica, ma, a differenza della piazza di una volta, non è più possibile percorrerla a piedi, mentre la si può fruire comodamente dalla poltrona di casa propria.

C’è chi ha affermato a proposito del proprio paese: “come ogni altra parte del mondo, ha partecipato e partecipa alla storia. Sembra chiuso ed è aperto da tutti i lati, a tutte le ipotesi, in bene e in male. È un microcosmo che ripete, che riflette se non tutti quasi tutti gli aspetti universali, certamente i più importanti”.
Un grande architetto viennese un secolo fa già parlava della morte della piazza. Indicava nell’omicida, rovinosamente intento a mutare gli equilibri tradizionali dei luoghi, l’antenata dell’auto, ovvero la carrozza a cavalli. Nonostante questa precoce diagnosi di morte, le piazze d’Italia sono rimaste ancora a lungo epicentro del vivere sociale e oggi ci si interroga su come fare perché lo ritornino a essere.
La vera piazza di Cesenatico è, a nostro parere, il Porto Canale (foto di Enrico Bonoli) dove si concentrano: il Municipio, la piazza intesa come spazio urbanistico, la chiesa, il Museo a terra e quello galleggiante della Marineria, Casa Moretti, una nutrita serie di attività della ristorazione, della pesca e del turismo.

Il fascino di questo luogo, scrive Franco Spazzoli, già preside del Liceo scientifico e di Ragioneria di Cesenatico, nel libro “Racconti del Porto Canale” (finanziato dalla Banca di Credito Cooperativo di Sala di Cesenatico e stampato dalla Stilgraf di Cesena nel 2011, ndr) si rivela “nelle mattine d’estate, quando i pescatori tornano dal mare e le rive si animano di incontri e commerci oppure nelle notti calde di stelle e di luna, quando nell’acqua scura si riflettono, con magici effetti, le luci del paese e del cielo. Una diversa ed egualmente intensa suggestione avvolge il canale nelle notti d’inverno, allorché pochi e frettolosi passanti percorrono le rive solitarie o nelle sere di primavera quando il vento increspa le onde e arrivano dal mare folate di nubi e storni di gabbiani”.

Una parte di questa atmosfera la si percepiva nella mostra “La marineria di Cesenatico. Storie di uomini e di barche”, un poderoso viaggio nella memoria che ha avuto come filo conduttore gli uomini e le donne cesenaticensi che, in modo continuativo, si sono dedicati e si dedicano alla pesca. Allestita, fra l’altro, a pochi passi dalla casa di Marino Moretti, cioè il primo scrittore che, in particolare con il libro “La vedova Fioravanti”, è stato capace di raccontare la realtà tutta particolare della “società dei marinai”, fra barche, barconi e pescherie. Da tempo Casa Moretti è, oltre che biblioteca, centro di studi, di documentazione, di ricerca letteraria e storica. Al poco distante Museo della Marineria si dipana invece un’intensa attività di studi, convegni, mostre, che fanno del museo di terra e di quello galleggiante un tutt’uno unico e irripetibile.

Nel libro “Romagnoli & romagnolacci. Cento e più ritratti di personaggi della Romagna dell’altro ieri, di ieri e di oggi” di Vittorio Emiliani (Minerva Edizioni, Argelato, 2014), l’autore racconta di essere grato a Giorgio Calisesi, già segretario della Cooperativa Casa del Pescatore di Cesenatico, che negli anni Sessanta si fece raccontare dai pescatori, nel dialetto più stretto perché altra lingua non conoscevano, le loro avventure marinare. Ricorda Emiliani che fu molto divertente quando chiese ai suoi interlocutori chi fosse il santo patrono della località: “Si guardarono l’un l’altro con fare interrogativo. Poi uno mormorò esitante “Ohi a me un pé… San Cristófar”. Lo zittirono in tre o quattro esclamando trionfanti: “Mo l’è Garibaldi”. Pensare a Garibaldi come santo patrono non è male! Ma d’altra parte occorre considerare il ruolo centrale che ricoprì Cesenatico nella “Trafila Garibaldina”. Il passaggio nella città costiera del “Generale del popolo” in fuga da Roma e San Marino ha segnato profondamente la storia di Cesenatico, che ogni anno dedica una festa celebrativa a ricordo della fatidica notte del 2 agosto 1849, quando l’eroe, alla testa di poco più di 250 reduci dell’esercito della soppressa Repubblica Romana, dopo aver requisito dodici bragozzi e una tartana, salpò dal porto per raggiungere Venezia, assediata dall’esercito e dalla flotta austriaca.

L’episodio andrà ben al di là della cronaca storica, e rimarrà nel costume locale. Non a caso, la sola vera festa del paese è quella di Garibaldi, cioè la festa che annualmente cade nella prima domenica di agosto, proprio in ricordo dello storico avvenimento. Garibaldi, come ebbe modo di rilevare Giorgio Calisesi, “assurgerà infatti a figura di eroe eponimo del paese, di “santo laico” e, perché no, anticlericale. Nel 1885 gli venne eretto il monumento che campeggia nella piazza principale (in proposito, è da sottolineare come nelle deliberazioni del Consiglio Comunale, l’Eroe dei due mondi sia sempre chiamato “Generale del popolo”)”.

La statua di Garibaldi venne realizzata dallo scultore cesenate Tullo Golfarelli. Fu una delle prime in Italia a ornare un luogo pubblico con l’immagine dell’Eroe dei due mondi. Scrive lo storico Alfonso Scirocco nel volume “Garibaldi. Battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo” (Editori Laterza, Roma-Bari 2001): “Ci sarebbe da interrogarsi sulle implicazioni permanenti e in un certo senso inquietanti del fascino straordinario esercitato su larghe porzioni di popolo italiano da Giuseppe Garibaldi, più di qualunque altra figura istituzionale, da questo personaggio irrituale, in forme e luoghi irrituali: nella sua veste ora di padre o di dittatore, ora di avventuriero oppure di Gesù nazareno laico, o anche di liberatore di energie e incantatore di folle. Dopo tutto, nonostante gli usi propri ma molto spesso impropri della sua figura, Garibaldi sopravvive ad ogni forma di utilizzo”.

In realtà il santo patrono di Cesenatico è San Giacomo e viene festeggiato il 25 luglio nella chiesa che porta il suo nome che, non a caso, si affaccia sul Porto Canale. Anche la parrocchia, l’oratorio, le attività collaterali a essi sono luoghi di grande importanza per la memoria della città, forti di una loro identità che ha nella continuità un aspetto di primaria importanza, capace di produrre sensi di appartenenza che vanno al di là dei cicli della storia e della politica. Bisogna indubbiamente prendere in considerazione il ruolo svolto dalla chiesa, dall’organizzazione parrocchiale, nella vita del paese. Per lungo tempo l’edificio religioso è stato il solo monumento del paese. Le campane scandivano le attività lavorative e la chiesa era al centro della vita della comunità, così come in tutti i nostri paesi, anche a Cesenatico, dove semmai i pescatori avevano un ulteriore punto di riferimento: il faro posto proprio in cima al Porto Canale.

La Rubrica Fatti e Misfatti di Forlì e della Romagna è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli