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La chiesa, i parroci e la Resistenza

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Al ruolo della chiesa e dei parroci forlivesi sono state dedicate molte pubblicazioni degne di nota e a quelle si rimanda per chi vuole approfondire l’argomento. In questo testo ci limiteremo a raccontare brevemente le vicissitudini di alcuni preti della nostra diocesi nonché del vescovo Mons. Rolla.

L’arresto di don Gaetano Lugaresi

Il 9 agosto 1944 segnò un deciso impulso alla repressione contro gli antifascisti da parte delle brigate nere e dei tedeschi. In quella giornata furono incarcerati don Gaetano Lugaresi (Forlì 1910-1975), don Anacleto Milandri e don Zambianchi, rispettivamente parroci di San Martino in Villafranca, di Villafranca e cappellano di quest’ultima località. Don Lugaresi era stato preso insieme al colonnello Edoardo Cecere (Firenze 1896-Forlì 1944), comandante del deposito dell’11° Fanteria che dopo l’8 settembre aveva deciso di promuovere la resistenza in montagna.

Don Gaetano fu accusato di “essere in connessione con le formazioni partigiane”. Inquietante e drammatico fu il cammino percorso dal giorno del suo arresto, il 12 agosto, dopo essere stato condotto al Carcere giudiziario di Ravenna, unitamente a don Miladri, arrestato sotto identica accusa, venne trasferito alla caserma di corso Garibaldi (dove oggi ha sede la Questura forlivese) e sottoposto a interrogatori. Qui trascorse giorni interminabili, preso di mira da un giovane carceriere che, col fucile puntato, ripeteva ossessivamente “Noi siamo i più forti”.

Il 22 agosto, al Brefotrofio, il carcere allestito dalle SS, fu messo a confronto con il colonnello Cecere: nessuna rivelazione e gli accusatori subirono una nuova sconfitta. In una cella vicina si trovava recluso e sottoposto ad estenuanti interrogatori e minacce, l’avvocato Oreste Casaglia. Don Milandri era costretto a lavori umilianti. Intanto, il Vescovo monsignor Rolla stava vincendo un’altra delle tante battaglie da lui intraprese in difesa di chi era caduto nelle mani dei nazifascisti: i due sacerdoti saranno liberati il 29 agosto; l’avvocato Casaglia il 3 settembre. Tutti gli altri detenuti furono invece uccisi nei giorni immediatamente successivi, in tre momenti diversi, nei pressi dell’aeroporto.

Così raccontò la sua vicenda lo stesso don Lugaresi: “Un giorno il Comitato di Liberazione mi propose di ricevere nella mia canonica (dove c’erano già altri sfollati dalla città) il colonnello Cecere. Restò presso di me circa un mese, poi venne trasferito in altre canoniche ma il 9 agosto 1944, in occasione di un suo ritorno, la chiesa fu circondata dalle brigate nere; fummo presi e portati nelle carceri di Ravenna. Il colonnello fu fucilato a Forlì il 5 settembre. Dopo una settimana, fui trasferito a Forlì nella caserma Garibaldi che era il quartier generale delle brigate nere. Alcuni giorni dopo fui caricato su un furgoncino a motore e portato nelle carceri delle SS tedesche, allestite nel Brefotrofio di via Salinatore. Mi trovai rinchiuso in una piccola lavanderia dell’Istituto insieme con altre sette persone.

Solo in due siamo usciti vivi da quella cella. Ritornai a San Martino verso la metà di ottobre, dove mi attendevano i giorni più tragici prima della liberazione. Bombardamenti aerei e cannonate distrussero completamente la chiesa, la canonica e molte altre case, facendo 18 morti. Da ultimo, la sera del 10 novembre, i pochi tedeschi rimasti fecero saltare in aria l’unico edificio rimasto in piedi: il campanile. Dopodiché, la parrocchia è rimasta senza chiesa e il parroco senza casa fino al 1955”.

Un altro giovane sacerdote forlivese visse, in quei giorni, un’identica, drammatica vicenda, don Giovanni Zambianchi, cappellano a Villafranca, membro del Comitato di Liberazione della zona. Durante la trebbiatura dell’estate 1944 ci fu un’azione partigiana, alla quale rispose un’immediata reazione preceduta da un gigantesco rastrellamento. Oltre 200 persone vennero ammassate nei pressi della chiesa di Villafranca e otto di esse furono condotte in carcere a Forlì. Fra queste, don Zambianchi. “Numero di matricola 4.087, cella 87: in braccio alle SS”; così è scritto sul suo diario di quei giorni terribili, fatti di interrogatori, minacce, accuse. L’incubo finì dopo una decina di giorni per l’intervento del vescovo mons. Rolla.