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La “Giornata del ricordo” che non dimentica nulla

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Ultimo aggiornamento:

Dal 2004, anno in cui è stata istituita la “Giornata del ricordo”, la tematica degli eccidi delle foibe è diventata oggetto di una discussione nazionale che ha acceso confuse polemiche politiche, che ingigantiscono o sminuiscono i fatti a seconda della convenienza ideologica. Dando un’interpretazione sbagliata e limitata dell’accadimento storico, le destre hanno fatto della “giornata del ricordo” una loro prerogativa nel segno dell’anticomunismo. Penso invece che il “ricordo” e la “memoria” non servano a nulla se non sono accompagnati da una coscienza storica obiettiva. Una coscienza che non dev’essere in alcun modo manipolata al fine di ottenere persone poco informate sulla verità, creando un pensiero comune vago e disordinato. Per non cedere alla disinformazione diffusa, bisogna saper inquadrare il “fenomeno delle foibe” nell’ambito della secolare disputa fra italiani e popoli slavi per il possesso delle terre dell’Adriatico orientale. In epoca contemporanea, dopo la prima guerra mondiale, quando i nazionalismi si affermarono fino a sfociare nei razzismi di Stato, l’allora Regno d’Italia iniziò una politica di italianizzazione forzata delle terre “irredente”.

Le durissime condizioni imposte dal Regno si fecero ancora più rigide ed intolleranti con l’avvento del fascismo. La lingua obbligatoria divenne l’italiano, i dialetti e le lingue dei popoli presenti sul territorio vennero proibiti, i cognomi “italianizzati”, interi villaggi vennero saccheggiati e poi incendiati, mentre migliaia di uomini, donne e bambini vennero torturati e deportati in massa nei campi di concentramento, altri venivano addirittura bruciati vivi su roghi di fascine. La ferocia fascista obbediva ai dettami di Mussolini, che nel 1920 aveva dato sfogo alla sua efferatezza dicendo che “di fronte ad una razza inferiore e barbara come quella slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone”. E così fu. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Jugoslavia sarà uno dei paesi che avrà pagato il più alto tributo di morti, da calcolarsi in circa 1 milione e mezzo di persone su 16 milioni di abitanti.

Di questi, sono da attribuirsi alla responsabilità diretta delle truppe di occupazione italiana almeno 250 mila morti, che le fonti serbe però portano ad un totale di 300 mila. Crollato il regime fascista, si verificò un fenomeno alquanto strano e significativo: le “terre irredente” vennero precipitosamente abbandonate. Dopo decenni di repressione e violenze, i partigiani jugoslavi di Tito insorsero contro tutto ciò che era “fascismo”, purtroppo spesso identificato con “italiano”. Come accade sempre, l’odio attira e crea altro odio, facendo degenerare tutto in violenza. Il Comitato Rivoluzionario compilò una lista contenente i nomi dei fascisti, nella quale, tuttavia, apparivano anche persone estranee al partito e che non ricoprivano cariche nello Stato italiano.

Vennero tutti arrestati e giustiziati per poi successivamente essere scaraventati nelle “foibe”, aperture carsiche del terreno tipiche di quella regione geografica. Gli “infoibati” furono in tutto circa cinquemila, ma la stragrande maggioranza delle perdite italiane nella guerra derivano dai bombardamenti angloamericani su Trieste, Pola, Istria e Fiume. Siccome credo che non esistano morti da ricordare e altri che non meritano di essere ricordati, non è giusto fare distinzioni in questo caso, ma per i revisionisti, per i professionisti della cantilena anticomunista, i morti dei bombardamenti non contano. Non vuole essere, la mia, una sintesi “di parte” sul fenomeno delle foibe, piuttosto una nota storica che tenga viva la memoria “ricordando tutto”, per aiutarci a comprendere quanto atroce e inarrestabile sia quell’infinito circuito che crea la violenza generando altra violenza.

Lorenzo Ghetti Giovani Comunisti Forlì – Rifondazione Comunista