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Il pericolo pubblico dell’automobilista: “Il vecchio in bici”

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Il vecchio in bicicletta è pazzo. O per lo meno è quello che pensi mentre ti fai il viale dietro di lui, in pista ciclabile. Tu arrivi con un moderato livello di fretta e lui è lì. Davanti a te, col suo cappotto che rischia di infilarsi nella catena ad ogni pedalata, il suo cappello d’ordinanza e il suo caracollare ad ogni pedalata. Destra sinistra destra sinistra mo zio vigliàc, sta férum!

Sì, è la versione light del vecchio col cappello motorizzato di cui ho già parlato, fa parte in effetti della stessa categoria, il “senilis rompicoglionis”. Ma per certi versi è differente.
Tu scampanelli, lui sposta la Graziella di 47 millimetri verso destra come dire “passa”. Per lo meno collabora. Solo che non riesci lo stesso a sorpassarlo perché la pista ciclabile è larga un metro e tra lui e il cappotto 75 cm buoni son già andati. Capite che 75,47 cambia poco.

Variante, quella che capita a me. Campanello rotto che invece del “drin drin” fa una specie di pernacchia di colibrì: allora quando arrivi dietro di lui adotti la tecnica del “rosghino in gola”. Per farti sentire inizi timidamente con un “e-ehm”. Niente. Provi con un colpettino di tosse. Niente. Inizi a scatarrare come la partenza di un GP a Monza. Niente. Gli sputi uno slime di catarro nella schiena. Nulla.

Allora, questo è un ciclista romagnolo, razza dura e pura, uno che si farebbe la tre valli varesine anche il 6 febbraio, quindi c’è caso che il vecchio sia già morto e non lo sappia, e lo troveranno putrefatto (ma ancora in sella) a Matera. Oppure è sordo. Ma tanto.
Tu hai appena sputato un polmone e ti stai spazientendo per l’enfisema, quindi ti parte uno scleratissimo “Aloura! A poss passè?”

Lo vedi che ti ha sentito, perché si irrigidisce e mette la testa tra le spalle come le tartarughe. E si sposta degli stessi miseri 47 millimetri. E commenta pure stizzito: “in dù c’a j’o da andé?”. Tu lo sorpassi tipo 100% Brumotti sui tettucci delle auto ferme al semaforo e rispondi: “in te casên!”
Menzione d’onore alle donne romagnole in bici. La donna romagnola è di razza pura: bassa, ispida, setolosa, culo volitivo e quando cammina – fateci caso! – i piedi li mette a “papera”. Ora, pare che sui 40 il demone dell’invornito in bicicletta si impossessi di loro. Guardatele quando frenano.

Gli uomini si sagattano femori e bacini scendendo alla bersagliera anche se hanno 80 anni. Loro no. Si attaccano ai freni, e inesorabilmente, tirano giù i piedi, ovviamente rigorosamente “paperati” (son di razza pura, ricordate?). PRIMA di fermarsi.
E’ automatico. Le vedi in equilibrio precario, col carrello giù come un jet in fase di atterraggio, tranciando cani, mietendo aiuole, sconocchiando caviglie. Una meravigliosa riedizione romagnola del freno a pedale.

E più son vecchie, prima partono. Verso i 60 anni praticamente prima ancora di frenare han già la gambina fuori, che neanche Valentino Rossi in staccata a Misano! Ma zio prìt, ma se stai andando dal verduraio! Ecco appunto, il verduraio. Comprano due etti di fagiolini, e quattro cipolle. Le sportine le mettono sul manubrio o dietro nel portapacchi e tornano a casa rigorosamente a piedi. Ma perchè. “Sa vut, c’a chèsca, c’a sò tòta sbilanciata? Cun tòt ste pèis?” Logico.

(il Nero)

Articolo pubblicato nella pagina Facebook “Sa fet a qué”